Alice si è ammalata di leucemia a meno di tre anni. Per un lungo periodo ha dovuto rinunciare ad avere animali domestici. Ora non più
Giugno 2019
Le valigie sono pronte. Lidia e Marco stanno per partire per le vacanze estive insieme alle loro bambine Giada, di otto anni, e Alice di quasi tre anni. Il mare però deve aspettare: la piccola di casa ha la febbre. Da una visita pediatrica risulta una tonsillite. Nonostante la cura con antibiotico, Alice continua ad avere la febbre, è sempre stanca, molto pallida e lamenta dolore alle articolazioni inferiori, ginocchia e piedini. Una mattina, mentre sta facendo colazione, Alice si accascia improvvisamente. Non è svenuta, esausta, si è addormentata. Quando si riprende, la mamma le cambia il pannolino e, notando delle piccolissime macchioline rosse, decide di recarsi al pronto soccorso.
LA DIAGNOSI
«Nell’ospedale della nostra cittadina, in provincia di Torino – racconta Lidia – le hanno fatto un prelievo del sangue da cui è risultata una fortissima anemia. Alice doveva essere trasferita immediatamente all’ospedale Regina Margherita per una trasfusione. La bambina, mi hanno spiegato i medici, aveva il midollo osseo completamente bloccato, incapace di produrre alcuna cellula del sangue: niente globuli rossi, globuli bianchi e nemmeno piastrine. Poteva trattarsi di un virus che, intaccato il midollo, lo aveva mandato in crisi, oppure poteva essere qualcosa di più grave, come la leucemia. La risposta la abbiamo avuta solo dopo un prelievo di midollo osseo. Leucemia linfoblastica acuta di tipo B».
LA FORZA DEI GENITORI
Dopo la notizia della diagnosi Lidia ha pianto l’intera notte, ma poi, come solo i genitori sanno fare, ha messo a disposizione tutte le proprie energie più nascoste, che non pensava di avere. «Dovevo reagire, per il bene di Alice che dipendeva da me, in quel momento ero io la sua forza, e anche per Giada, che ci aspettava a casa. Non potevo permettermi di gettare la spugna. Anche se, devo ammettere, a lungo andare sono state le bambine la nostra forza, più che noi la loro».
LA LEUCEMIA SPIEGATA AI BAMBINI
Alice, come da protocollo sanitario AIEOP 2017, avrebbe iniziato subito con altissime dosi di cortisone e chemioterapia in vena, almeno per il primo anno, per poi passare a terapia per bocca. Come spiegare a una bambina così piccola la sua malattia? Perché avrebbe dovuto indossare la mascherina e non avrebbe potuto accarezzare il suo cane e il suo gatto?
«Dal primo giorno in cui si è ammalata Alice, abbiamo sempre detto la verità, sia a lei sia a Giada. È stata la responsabile del reparto di oncoematologia, la dottoressa Barisone, a spiegare ad Alice la sua malattia, utilizzando dei disegni colorati. I globuli bianchi di Alice, ovvero i poliziotti del nostro corpo che ci difendono da tutto quello che di estraneo entra nel nostro corpo come virus e batteri, erano impazziti e per questo uccidevano i loro compagni di squadra, globuli rossi e piastrine. Questo era il motivo per cui lei non stava bene: i poliziotti che avrebbero dovuto essere buoni stavano facendo i monelli. I globuli rossi sono quelli che ci danno la forza di correre e giocare, ma lei non li aveva in quel momento, ecco spiegato il perché della sua perenne stanchezza. Per incentivarla a collaborare e a prendere i farmaci la dottoressa le ha detto che ogni volta che avrebbe preso una medicina, un po' di soldatini cattivi sarebbero morti per lasciare spazio a quelli sani. A quel punto Alice ha fatto un bel disegno con delle palline che rappresentavano i globuli bianchi e ogni volta che prendeva una medicina ne cancellava un po' con un pennarello rosso».
LE CHEMIOTERAPIE COME I DISERBANTI
«A spiegare il perché delle tante restrizioni che avrebbe dovuto seguire ci abbiamo pensato io e mio marito Marco usando una similitudine a lei familiare», prosegue Lidia nel suo racconto.
«Le chemioterapie sono come i diserbanti che il nonno butta sulle verdure per proteggerle dalle erbacce che le soffocherebbero. Quando si butta il diserbante, però, si elimina tutto, comprese le verdure, ma dopo che le erbacce saranno state eliminate, le verdure ricresceranno sane. Le abbiamo detto che nel suo corpo era la stessa cosa: le medicine avrebbero eliminato tutti i soldatini, non solo cattivi ma anche buoni. A ricrescere, però, sarebbero stati solo i poliziotti buoni. In questo modo le difese immunitarie sarebbero state basse e quindi avrebbe dovuto indossare la mascherina ed evitare di stare in contatto con gli animali. A spiegare la situazione a Giada, invece, hanno pensato le psicologhe. L'ha affrontata piuttosto bene, anche grazie al disegno, uno strumento prezioso per evadere dalle preoccupazioni. Ancora oggi è la sua valvola di sfogo».
IL CATETERE “PINO”
Per Alice, un grande compagno di viaggio e di mille avventure è stato Pino. No, non è un bambino o un peluche, e nemmeno un bambolotto. È un catetere che per tutto il primo anno di terapie è stato impiantato nel suo petto, per far passare i farmaci.
«L’idea di dare un nome al catetere è stata di un’infermiera al risveglio dall'anestesia, per sdrammatizzare il fatto di vedersi questo tubicino fuoriuscire dal petto. Le ha detto che quello sarebbe stato un prezioso compagno di avventura per i mesi successivi. Alice ogni tanto parlava con Pino e quando faceva le chemio, in base al colore del farmaco, immaginava che Pino stesse bevendo la birra, la grappa oppure il crodino. Quando le infermiere dovevano disinfettarlo, andava a farsi un bel bagnetto; una volta finita la terapia anche Pino, coperto con un cerotto, andava a nanna».
UN REPARTO SPECIALE
Nonostante Alice passasse a casa più tempo possibile, l’ospedale pediatrico Regina Margherita ha rappresentato per lei e per la sua famiglia un luogo speciale di cura, ma non solo. Svariate associazioni, infatti, fino a quando il Covid lo ha permesso, sono sempre state presenti per supportare i genitori e far passare il tempo ai bambini con diverse attività come creare e dipingere lavoretti di argilla, infilare perline o correre nei corridoi con tricicli, trattori e macchinine.
«Il reparto di oncoematologia dell’Ospedale Regina Margherita è speciale. Alice era partecipe e si divertiva molto con tutte le attività proposte, a eccezione dei giorni in cui il suo umore era influenzato negativamente dalle alte dosi di cortisone. La maestra raccontava storie, le faceva fare disegni e lavoretti di manualità. Alice ha un bellissimo ricordo delle maestre, delle infermiere, e dell'ospedale in generale. Non ha dimenticato i giochi con i volontari o i regali che le facevano le varie associazioni. Anche il Natale in ospedale lo ricorda con gioia: per lei sono stati una seconda famiglia».
L’EVOLUZIONE DELLA MEDICINA
Lidia, purtroppo, non è estranea al mondo dei tumori, fin da giovanissima. Nonna e mamma sono state colpite da tumore al seno a distanza di svariati anni.
«Da quando si è ammalata mia nonna a quando si è ammalata mia mamma – riflette Lidia –, ho notato una grandissima evoluzione della medicina che, fortunatamente, grazie alla ricerca, continua a fare importantissimi passi avanti. Ho sempre sostenuto la ricerca scientifica, ma da quando si è ammalata Alice, ammetto di avere un trasporto ancora maggiore. La ricerca permette di donare ai malati una concreta speranza di guarigione».
LA CORONA DI ALICE
Dalle parole di Lidia si capisce come, a parte i momenti di forte nervosismo dato dalle elevate dosi di cortisone, Alice sia sempre stata molto collaborativa, non solo con le attività ludiche proposte in ospedale, ma anche con le terapie. Non ha mai fatto storie, ha sempre preso tutte le medicine e fatto gli esami necessari. L'obiettivo era sconfiggere i soldatini cattivi e lei faceva tutto quello che serviva, senza piangere o fare capricci. Alice, però, come tanti altri bambini in quel periodo, ha dovuto fare i conti non solo con la malattia, ma anche con il Covid.
«Alice è sempre stata una bambina molto gioiosa e scherzosa, anche in pieno lockdown, che per noi sarebbe esistito comunque a prescindere dal Covid, per proteggere la bambina, le cui difese immunitarie erano molto basse. Alice si travestiva, si truccava e ballava davanti allo specchio, indossando cappelli e parrucche. Il repertorio era ampio: Biancaneve, Cenerentola, Elsa. Aveva ben chiaro quanto il Covid, per lei e per bambini come lei, fosse molto pericoloso. “State a casa, fatelo per me e per tutti i bambini come me. Questa è l’unica corona che voglio”. Queste sono le parole pronunciate da Alice vestita da principessa in un video realizzato in piena pandemia».
LA FINE DELLE TERAPIE
Alice ha finito le terapie da quasi due anni. Come si sentono una mamma e un papà quando comunicano loro la sospensione delle cure oncologiche per la propria bambina?
«Quando dopo i due anni di terapia ci hanno detto che non c'era più traccia di malattia, non abbiamo affatto gioito, non abbiamo fatto una piega. Lì per lì ci siamo anche vergognati: avremmo dovuto essere felicissimi e invece la paura del rischio di recidiva era più forte. Alice adesso sta bene, ma vogliamo essere cauti. Viviamo alla giornata, ma psicologicamente stiamo peggio adesso rispetto a quando eravamo in ospedale quasi tutti i giorni, costantemente sotto controllo. Oggi, invece, essendo stata ridotta la frequenza dei controlli, ogni piccola cosa, come un raffreddore o un dolore al piede, ci genera ansia, perché c'è sempre un retropensiero».
UN PICCOLO ZOO PER ALICE
Pur mantenendosi cauti, mamma Lidia e papà Marco, finite le terapie, hanno fatto rientrare la normalità nella loro famiglia, tornando a concedersi anche qualche viaggetto insieme alle loro bambine. Inizialmente piccole gite a Gardaland e a Venezia, successivamente una vera e propria vacanza al mare. Ma la più grande gioia per Alice è stata quella di poter avere di nuovo degli animali domestici anche se, in questo caso, sarebbe forse meglio parlare di un piccolo zoo.
«Durante le cure di Alice siamo sempre stati molto ligi, non solo per il Covid, anche da prima. Stavamo molto attenti con le frequentazioni, in casa nostra, ad esempio, entravano solo i nonni con la mascherina e avevamo l’abitudine di disinfettare ogni cosa. Alice, purtroppo, non poteva nemmeno avere contatti con gli animali. Per questo motivo abbiamo preferito allontanare il nostro cane e il nostro gatto che sono venuti a mancare proprio durante il primo periodo di cura. Alla fine delle terapie però, abbiamo accolto nella nostra casa un chihuahua color cioccolato di nome Coco. Ma non ci siamo accontentati: vivono con noi anche due pesci, Limone e Arancia, e il pappagallo Willy».
Alice è una bambina furbetta e testarda, solare e altruista. Grazie all’affetto della famiglia e all’umanità di medici, infermieri e volontari la malattia non è solo un brutto ricordo. È anche riconoscenza, affetto e capacità di pensare a quel periodo con tanta dolcezza. Pino, il catetere, oggi non c’è più, al suo posto però, è rimasta una cicatrice che Alice tratta come se fosse un vecchio amico. Quando al mare qualche bambino, vedendo la cicatrice, le chiede che cosa sia, lei risponde con tutta la naturalezza del mondo: "Niente, è Pino!".
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Caterina Fazion
Giornalista pubblicista, laureata in Biologia con specializzazione in Nutrizione Umana. Ha frequentato il Master in Comunicazione della Scienza alla Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati (SISSA) di Trieste e il Master in Giornalismo al Corriere della Sera. Scrive di medicina e salute, specialmente in ambito materno-infantile