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Oncologia
Daniele Banfi
pubblicato il 06-12-2022

Tumore del fegato: così miglioriamo le cure con l'immunoterapia



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Prevedere se le cure saranno efficaci e aumentare le probabilità di successo. Così cambieranno le terapie per il tumore del fegato grazie a due importanti studi italiani dell'Istituto Nazionale dei Tumori di Milano

Tumore del fegato: così miglioriamo le cure con l'immunoterapia

Il tumore del fegato è una di quelle neoplasie dove l'immunoterapia, ad oggi, non ha ancora raggiunto quel successo tipico di altri tumori. Le ragioni sono diverse e difficilmente riassumibili in pochi punti. C'è un però: spesso nel fallimento di alcune cure la differenza la fa la genetica. Non tutti i tumori del fegato sono uguali. Non solo, alle volte la scarsa efficacia dell'immunoterapia è dovuta al fatto che il tumore non viene "preparato" adeguatamente. Limiti che presto potrebbero essere superati grazie a due importanti studi realizzati all'Istituto Nazionale dei Tumori di Milano dal gruppo di ricerca del prof.  Vincenzo Mazzaferro, Direttore della Struttura Complessa di Chirurgia Epato-Gastro-Pancreatica. Nel primo, pubblicato su Gastroenterology, è stata individuata una firma molecolare capace di prevedere chi risponderà efficacemente alle cure. Nel secondo, sulle pagine di Gut, è stata sperimentata un'innovativa soluzione in grado aumentare l'efficacia delle terapie.

CHE COS'È IL TUMORE DEL FEGATO?

Ogni anno in Italia sono circa 13 mila le nuove diagnosi di tumore del fegato. In oltre il 90% dei casi si tratta di epatocarcinoma cellulare, la forma più comune di neoplasia epatica. Quasi due terzi dei casi sono riconducibili a fattori di rischio noti quali l’infezione da virus dell’epatite C e da virus dell’epatite B. Non solo, secondo i dati dell'Associazione Italiana di Oncologia Medica, nelle aree del Nord Italia circa un terzo dei tumori del fegato è attribuibile all'abuso di bevande alcoliche. Il trattamento dipende dal grado di evoluzione della malattia: nello stadio iniziale i pazienti con sufficiente funzionalità epatica possono essere sottoposti a trattamento chirurgico o, addirittura, al trapianto di fegato. Negli stadi più avanzati invece è possibile utilizzare, a seconda delle caratteristiche molecolari del tumore, alcune terapie a bersaglio molecolare e l'immunoterapia. La chemioterapia invece, somministrata a livello sistemico, si è dimostrata scarsamente efficace.

SELEZIONARE I PAZIENTI 

Mentre l'immunoterapia ha rivoluzionato il trattamento di molti tumori, l'efficacia in quello del fegato è sempre stata molto variabile e poco prevedibile. Al momento solo il 20% trae un reale beneficio. Partendo da questa presupposto i ricercatori milanesi hanno messo a punto un test in grado di selezionare le persone con tumore del fegato in grado di trarre beneficio dai trattamenti con immunoterapici anti-PD1. In particolare lo studio si è concentrato su quei pazienti con tumori del fegato che possono essere sottoposti all'immunoterapia neo-adiuvante, ovvero prima dell'operazione chirurgica. «Il lavoro pubblicato su Gastroenterology ha identificato una firma molecolare predittiva denominata IFNAP, che è costituita dalla combinazione di undici geni. Questa "firma", individuata sulla biopsia del tumore, predice la sensibilità delle cellule tumorali del carcinoma epatico alla classe di farmaci immunoterapici anti-PD1, indipendentemente dall’origine del tumore stesso» spiega il professor Mazzaferro. Ma c'è di più: questa firma può essere "visualizzata" anche grazie alla biopsia liquida, ovvero attraverso un prelievo di sangue. Un vantaggio non indifferente rispetto alla tradizionale biospia del tessuto tumorale.

AUMENTARE L'EFFICACIA

Così come sta accadendo per altre neoplasie, anche per il tumore al fegato si stanno percorrendo alcune strade volte a cercare di aumentare la quota di persone che rispondono all'immunoterapia. Un recente studio pubblicato su Gut, curato da Licia Rivoltini dell'Unità di immunoterapia all'Istituto Nazionale dei Tumori e coordinato da Mazzaferro, ha dimostrato la possibilità di potenziare l’effetto dei farmaci anti-PD1 con un pre-trattamento. «Trattamenti fisici quali la radio-embolizzazione possono "preparare il terreno" alla terapia vera e propria. In pratica, stimolano la produzione di antigeni specifici tumorali, in grado di attivare gruppi di cellule immunocompetenti contro il tumore, che verranno quindi potenziati dai farmaci immunoterapici» spiega Mazzaferro. 

CAMBIARE LA PRATICA CLINICA

Questi studi non solo amplieranno il ventaglio di possibilità di soluzioni terapeutiche per la cura del tumore epatico ma porteranno ad un cambio di paradigma significativo, ovvero alla possibilità del trapianto di fegato anche in quei casi che fino ad oggi non avrebbero potuto beneficiarne a causa della gravità della malattia.  «Ci vorranno ancora ulteriori ricerche per ottenere terapie sempre più personalizzate -spiega la dottoressa Sherrie Bhoori, specialista in gastroenterologia ed epatologia presso l'Istituto Nazionale dei Tumori di Milano- ma è significativa la decisione della European Society for Organ Transplantation (ESOT) che, esaminati i risultati dei lavori scientifici, ha approvato l’inserimento dell'immunoterapia neo-adiuvante nelle prossime Linee Guida europee. Questo approccio terapeutico diventa quindi una tra le possibili strategie da adottare in casi selezionati, in particolare quando è presente la cosiddetta firma molecolare».

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Daniele Banfi
Daniele Banfi

Giornalista professionista del Magazine di Fondazione Umberto Veronesi dal 2011. Laureato in Biologia presso l'Università Bicocca di Milano - con specializzazione in Genetica conseguita presso l'Università Diderot di Parigi - ha un master in Comunicazione della Scienza ottenuto presso l'Università La Sapienza di Roma. In questi anni ha seguito i principali congressi mondiali di medicina (ASCO, ESMO, EASL, AASLD, CROI, ESC, ADA, EASD, EHA). Tra le tante tematiche approfondite ha raccontato l’avvento dell’immunoterapia quale nuova modalità per la cura del cancro, la nascita dei nuovi antivirali contro il virus dell’epatite C, la rivoluzione dei trattamenti per l’ictus tramite la chirurgia endovascolare e la nascita delle nuove terapie a lunga durata d’azione per HIV. Dal 2020 ha inoltre contribuito al racconto della pandemia Covid-19 approfondendo in particolare l'iter che ha portato allo sviluppo dei vaccini a mRNA. Collabora con diverse testate nazionali.


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