Anche quando guarire è impossibile, oggi si può gestire la malattia nel tempo. In Italia trentamila donne convivono con un tumore al seno metastatico: le storie di Angela e Elisabetta
Quando si parla del tumore al seno, si tende a presentare la malattia con un’unica «etichetta», senza specificare lo stadio di progressione. Ma tra le cinquantamila pazienti che ogni anno scoprono la neoplasia, una su cinque sviluppa un tumore al seno metastatico.
Si tratta di una condizione particolare, assimilabile a una malattia cronica, che non guarisce ma con la quale si convive anche per diversi decenni dopo la diagnosi. Del tumore al seno metastatico si parla ancora poco. «Perché è ancora un tabù», raccontano le donne dell’associazione «Tumore al seno metastatico - Noi ci siamo», nata per dare voce alle oltre trentamila pazienti italiane che con esso convivono.
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UNA MALATTIA ANCORA INGUARIBILE
Obiettivo del presidente, Mimma Panaccione, è far parlare di una condizione che definisce «non soltanto clinica, ma anche psicologica e sociale: chi ha un tumore al seno metastatico vive spesso emarginato e in solitudine». Questo perché, di fronte a una diagnosi oncologica al quarto stadio, si tende a pensare che una persona abbia i giorni contati.
Non è invece così, almeno quando si parla del tumore al seno. «La malattia metastatica è ancora oggi considerata incurabile, perché non si è mai riusciti finora a raggiungere la completa guarigione - dichiara Pierfranco Conte, direttore della divisione di oncologia medica 2 dell’Istituto Oncologico Veneto di Padova e membro del comitato scientifico della Fondazione Umberto Veronesi -. Detto ciò, i farmaci a disposizione permettono di rendere il tumore al seno metastatico una malattia cronica. A rispondere meglio sono i tumori positivi ai recettori ormonali, seguiti dagli Her 2 positivi e da quelli triplo negativi». Nei primi due casi le percentuali cronicizzazione sono più alte, mentre le risposte terapeutiche inferiori riguardano il tumore al seno triplo negativo, privo dei bersagli presi di mira dai farmaci oggi in uso. «Incentivando la diagnosi precoce, puntiamo a far calare nel tempo il numero di donne in cui il tumore tende a metastatizzare», chiosa l’esperto.
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DAL TUMORE AL SENO ALLA MARATONA
Conte ricorda che «gli undicimila decessi annui per tumore al seno sono da ricollegare quasi interamente a forme metastatiche della malattia». Ma è giusto anche dire che nella maggior parte dei casi, «soprattutto quelli che vedono protagoniste pazienti sottoposte a terapie ormonali», a intervalli regolari (tra le diverse riacutizzazioni della malattia) la vita torna a essere quella normale: lavoro, famiglia, sport. Angela Restelli, un’ex professoressa di educazione fisica che scoprì di avere il tumore al seno al quarto stadio nel 1994, ne è il miglior esempio.
Oggi, a 61 anni, con tre interventi alle spalle e metastasi scoperte nel tempo al polmone destro e alle vertebre lombari (sedi più frequenti, assieme al fegato e al sistema nervoso centrale), è una donna soddisfatta della sua vita, che ha trovato linfa nella corsa e nel progetto Pink is Good.
È grazie all’iniziativa della Fondazione Umberto Veronesi che ha potuto correre la maratona di New York (2014) e le due mezze maratone di Valencia (2015) e Amsterdam (2016): l’ultima delle quali domenica scorsa. «Avevo 39 anni quando mi ammalai la prima volta, con una figlia di otto - racconta al telefono, dopo aver terminato l’ultimo allenamento -. Nel frattempo l’ho vista diplomarsi, laurearsi e conquistare i primi successi lavorativi. La mia storia è quella di una donna che è andata oltre il cancro e che vive in maniera dignitosa».
LA STORIA DI ANGELA RESTELLI
SERVONO MAGGIORI TUTELE SUI LUOGHI DI LAVORO
Una prospettiva di vita così lunga, potenzialmente accresciuta nelle pazienti in cui la malattia viene diagnosticata in giovane età, comporta la necessità di conciliare la malattia con le esigenze quotidiane. «È il momento di considerare il tumore al seno metastatico come una malattia cronica - è il pensiero di Elisabetta Iannelli, vicepresidente dell’Associazione Italiana Malati di Cancro: 48 anni, di cui la metà vissuti combattendo il cancro -. Molto spesso, però, questo non accade. Mi riferisco soprattutto ai luoghi di lavoro, dove le pazienti continuano a essere discriminate. Per loro tornare a essere considerate attive è una necessità.
I benefici psicologici sono di gran lunga superiori a quelli economici». Indicazioni a riguardo possono essere scaricate dal «Manuale Seno» messo a punto dalla Fondazione Umberto Veronesi lo scorso e sul libretto «I diritti del malato di cancro» redatto da Aimac.
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Fabio Di Todaro
Giornalista professionista, lavora come redattore per la Fondazione Umberto Veronesi dal 2013. Laureato all’Università Statale di Milano in scienze biologiche, con indirizzo biologia della nutrizione, è in possesso di un master in giornalismo a stampa, radiotelevisivo e multimediale (Università Cattolica). Messe alle spalle alcune esperienze radiotelevisive, attualmente collabora anche con diverse testate nazionali ed è membro dell'Unione Giornalisti Italiani Scientifici (Ugis).