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Oncologia
Fabio Di Todaro
pubblicato il 21-03-2019

Trapianto di midollo osseo: l'esito dipende anche dal microbiota



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Il microbiota intestinale dei bambini sottoposti al trapianto di midollo osseo può condizionare l'esito dell'intervento. Lo studio firmato da due ex ricercatori di Fondazione Umberto Veronesi

Trapianto di midollo osseo: l'esito dipende anche dal microbiota

La resistenza agli antibiotici è un'emergenza per la salute globale, come l'ha definita all'inizio dell'anno l'Organizzazione Mondiale della Sanità: e non soltanto perché rischia di far tornare in auge infezioni quasi dimenticate o perché contribuisce a rendere meno sicure le procedure diagnostiche più invasive, gli interventi chirurgici o un semplice ciclo di chemioterapia. Il microbiota intestinale, ovvero l'insieme di virus, batteri, parassiti che in miliardi di unità popola l’organo dell'apparato digerente, è studiato per le sue possibili relazioni con diverse malattie (oncologiche, neurodegenerative, cardiovascolari). In più, oggi si sa che la presenza nell'intestino di batteri resistenti agli antibiotici è in grado di condizionare l'esito di un trapianto di midollo osseo (procedura a cui si ricorre per molte malattie del sistema immunitario e del sangue) in un bambino. 

COME CAMBIA LA VITA DOPO UN TRAPIANTO? 

PERICOLO DI RIGETTO

La scoperta giunge da uno studio pubblicato sulla rivista Bmc Genomics da un gruppo di scienziati dell'Università di Bologna, tra cui due ex ricercatori di Fondazione Umberto Veronesi: Daniele Zama e Riccardo Masetti. Gli studiosi hanno osservato come i bambini che sviluppano complicanze dopo il trapianto abbiano un microbiota alterato, con una ridotta biodiversità e una maggiore abbondanza di specifici batteri legati allo sviluppo di infiammazioni. Una capacità, questa, che si consolida e aumenta poi ulteriormente a seguito della procedura di trapianto. Il risultato conferma le evidenze preliminari pubblicate nel 2015, da cui era emerso un possibile coinvolgimento del microbiota intestinale nell’insorgenza della più grave complicanza registrabile dopo un trapianto di midollo osseo: la malattia da trapianto contro l’ospite, nota come Graft-versus-Host Disease (GVHD). Si tratta, di fatto, di una complessa reazione immunologica delle cellule immunocompetenti del donatore nei confronti di tessuti e organi del ricevente.


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MICROBIOTA E ANTIBIOTICI

Nella ricerca sono stati coinvolti 36 pazienti pediatrici sottoposti a un trapianto di midollo osseo in uno dei seguenti quattro centri italiani: il policlinico Sant'Orsola-Malpighi di Bologna, le analoghe strutture universitarie di Verona e Pavia e l'ospedale Bambino Gesù di Roma. I ricercatori hanno raccolto le loro feci, al fine di analizzare la composizione del microbiota intestinale, in tre diversi momenti: prima del trapianto, al momento dell'attecchimento e trenta giorni dopo il trapianto. Utilizzando tecniche di sequenziamento di nuova generazione e mediante un’analisi funzionale dei geni, hanno evidenziato che i pazienti che finiscono per sviluppare la malattia da trapianto contro l’ospite presentano già prima del trapianto un microbiota alterato, più ricco di batteri resistenti agli antibiotici. Inoltre, nei pazienti che poi sviluppano la GVHD, è stata osservata una espansione, sia in termini di acquisizione di nuove resistenze sia di consolidamento di altre preesistenti, non limitata agli antibiotici somministrati durante il decorso (in alcuni casi si sono sviluppate resistene complesse, nei confronti di diverse classi di antimicrobici).

 

VERSO TERAPIE PERSONALIZZATE

La diffusione di batteri resistenti agli antibiotici è un problema che si rivela dunque particolarmente rilevante nei pazienti ematologici, costretti a sottoporsi a frequenti trattamenti antimicrobici. «L’esposizione prolungata all’ambiente ospedaliero che si registra durante il trapianto di midollo può favorire l’accumulo di geni che conferiscono la resistenza agli antibiotici in alcuni dei batteri che costituiscono il microbiota intestinale - afferma Riccardo Masetti, oggi pediatra del policlinico Sant’Orsola e coordinatore dello studio finanziato dal Ministero della Salute -. Questa temporanea colonizzazione, soprattutto in pazienti con difese immunitarie già ridotte, può contribuire all’instaurarsi di infezioni e di conseguenza all’aumento del tasso di mortalità a seguito di un’operazione di trapianto». Il lavoro rappresenta l'esito della ricerca di Daniele Zama, sostenuto da Fondazione Umberto Veronesi nel 2016 nell’ambito del progetto Gold for kids. «L'obbiettivo dello studio era quello di aumentare la conoscenza della  complessa interazione tra il microbiota intestinale e il sistema immunitario - racconta il ricercatore, in forza nell'unità di oncoematologia pediatrica e trapianto del policlinico bolognese -. Abbiamo avuto la conferma che, dopo il trapianto di cellule staminali, il sistema immunitario va incontro a una fase di ricostruzione che può essere influenzata dalla composizione del microbiota intestinale. Queste osservazioni potranno aprire la strada a modalità di manipolazione del microbiota per ridurre l’insorgenza e la gravità della malattia acuta dopo il trapianto e il rischio di complicanze infettive severe». 

Fabio Di Todaro
Fabio Di Todaro

Giornalista professionista, lavora come redattore per la Fondazione Umberto Veronesi dal 2013. Laureato all’Università Statale di Milano in scienze biologiche, con indirizzo biologia della nutrizione, è in possesso di un master in giornalismo a stampa, radiotelevisivo e multimediale (Università Cattolica). Messe alle spalle alcune esperienze radiotelevisive, attualmente collabora anche con diverse testate nazionali ed è membro dell'Unione Giornalisti Italiani Scientifici (Ugis).


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