Nuovi dati dalla Scozia: la vaccinazione contro l'Hpv effettuata a 12 anni fa crollare i tassi del tumore della cervice uterina. La sfida: garantire la vaccinazione a tutti
Dopo l'Australia, la Scozia. Giungono (per ora) quasi tutte dal mondo anglosassone le conferme dell'efficacia della vaccinazione contro il papillomavirus (Hpv) nella riduzione dei casi di tumore della cervice uterina. Il valore della profilassi, ribadito pure dall'Agenzia Internazionale per la Lotta al Cancro (Iarc) in occasione dell'ultimo World Cancer Day, trova conferma da una ricerca che arriva da Oltremanica. La vaccinazione di routine tra gli adolescenti - disponibile anche in Italia, per i ragazzi tra gli 11 e i 12 anni di ambo i sessi - è l'antidoto che meglio s'oppone all'insorgenza dei nuovi casi di tumore del collo dell'utero.
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IL «CROLLO» DEI TUMORI DEL COLLO DELL'UTERO
A ribadirlo è uno studio pubblicato sul British Medical Journal, che ha portato un pool di ricercatori dell'Università di Edimburgo ad affermare che «la vaccinazione effettuata in giovane età determina una drastica riduzione dei casi di malattia registrati in età avanzata». Per verificare la risposta alla profilassi, gli autori del lavoro hanno confrontato i tassi di incidenza del tumore della cervice uterina in tre diversi gruppi di donne (quasi 139mila): quelle nate tra il 1988 e il 1990 (non vaccinate), le seconde nate tra il 1991 e il 1994 (vaccinate in ritardo, tra i 14 e i 17 anni) e quelle regolarmente vaccinate a 12 anni in quanto nate nel 1995 e nel 1996 (primo gruppo a essere sottoposto alla vaccinazione, offerta in Scozia a partire dal 2008). Il momento del controllo è stato il primo esame di screening, effettuato all'età di vent'anni: soglia fissata dalla Scozia fino al 2016 e poi spostata a 25 anni (come in Italia). Escludendo altri possibili fattori, i ricercatori hanno rilevato che, rispetto al dato rilevato tra le donne non vaccinate, le lesioni precancerose gravi (i cosiddetti «Cin 3») erano diminuite dell'88 per cento tra le prime ragazze sottopostesi al programma di prevenzione primaria nel 2008. La stessa riduzione è stata osservata rispetto a quelle moderate («Cin 2»), di poco inferiore (79 per cento) quella relative invece alle lesioni lievi («Cin 1»). Le lesioni «Cin» - neoplasie intraepiteliali cervicali - possono progredire nel corso degli anni verso la forma tumorale. Le probabilità sono tanto più alte quanto maggiore è il numero che le accompagna.
MEGLIO VACCINARSI SUBITO
La vaccinazione è risultata tanto più efficace quanto effettuata più precocemente (comunque non prima degli 11 anni). Il calo dei riscontri delle lesioni gravi - quelle con la maggiore probabilità di evolvere in un tumore, motivo per cui c'è l'indicazione alla rimozione chirurgica - è risultato pari infatti «soltanto» al 51 per cento tra le ragazze «richiamate» per la vaccinazione a 17 anni. Quanto ai benefici della profilassi, occorre anche precisare che tutte le ragazze coinvolte nello studio erano state immunizzate con il vaccino bivalente (ha come bersaglio i sierotipi 16 e 18 dell'Hpv ed è considerato ancora valido per la prevenzione dei tumori correlati all'infezione), mentre ormai oggi quasi in tutta Europa si utilizza il nonavalente (che protegge di conseguenza da un maggior numero di virus in grado di «deviare» la replicazione cellulare in chiave tumorale). La regressione dei casi di tumore del collo dell'utero ha riguardato comunque pure le donne non vaccinate: a dimostrazione dell'efficacia dell'«immunità di gregge». Ovvero: più persone risultano protette (questo non vale soltanto per l'Hpv), minori sono le chance di contrarre un'infezione anche da parte di chi non risulta protetto.
PREVENZIONE PIU' «DIFFUSA»
«I dati dimostrano che la vaccinazione è il primo passo da compiere per ottenere una drastica riduzione delle diagnosi di tumore del collo dell'utero - afferma Julia Brotherton, direttore del programma australiano di vaccinazione contro il papillomavirus -. Adesso è necessario avviare dei registri che utilizzino in maniera regolare dati come questi, per incrociare le statistiche relative alle vaccinazioni con l'esito dei programmi di screening. Questo ci permetterà di documentare la riduzione del carico globale della malattia». Fin qui lo scenario occidentale, perché il tumore del collo dell'utero sta diventando a questo punto un'emergenza «esclusiva» dei Paesi meno sviluppati. «La sfida vera dei prossimi anni sarà portare la vaccinazione anche nel resto del mondo - chiosa l'esperta -. La sua diffusione dovrà viaggiare di pari passo con quella dello screening, in alcune aree del Pianeta evitato anche per ragioni culturali. Soltanto a quel punto potremo dire di aver sconfitto il tumore del collo dell'utero».
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Fonti
Fabio Di Todaro
Giornalista professionista, lavora come redattore per la Fondazione Umberto Veronesi dal 2013. Laureato all’Università Statale di Milano in scienze biologiche, con indirizzo biologia della nutrizione, è in possesso di un master in giornalismo a stampa, radiotelevisivo e multimediale (Università Cattolica). Messe alle spalle alcune esperienze radiotelevisive, attualmente collabora anche con diverse testate nazionali ed è membro dell'Unione Giornalisti Italiani Scientifici (Ugis).