Screening per più tumori e per più persone: le nuove raccomandazioni della Commissione europea per ridurre la mortalità e le disuguaglianze
Screening estesi a più persone con programi adeguati per qualità e in grado di garantire l’accesso a tutti coloro che per età o per condizioni di rischio rientrano nei target previsti. Questo l’obiettivo delle nuove raccomandazioni della Commissione europea per migliorare la prevenzione dei tumori attraverso la diagnosi precoce.
“Un nuovo approccio allo screening oncologico” titola il documento, presentato il 20 settembre che, una volta completato l’iter di approvazione, dovrà rappresentare il nuovo riferimento per tutti i governi dei paesi membri. Attese da vent’anni (la scorsa edizione era del 2003), le nuove raccomandazioni riguardano gli screening già presenti nel nostro Paese in forma organizzata e gratuita (quelli mammografici per i tumori del seno, il test HPV e il Pap test per il carcinoma cervicale, lo screening per il cancro colorettale) e introducono l'opportunità di nuovi screening, come quello per i tumori del polmone, della prostata e per i tumori gastrici, per le popolazioni più a rischio.
I PUNTI CHIAVE
Ecco nel dettaglio i punti chiave:
- diritto d’accesso: i programmi di screening in Europa dovranno essere supportati in modo da assicurare che gli screening mammografici, cervicali e colorettali siano offerti almeno al 90 per cento della popolazione target entro il 2025;
- monitoraggio delle disuguaglianze: si dovrà implementare un monitoraggio sistematico dei programmi di screening che comprenda anche le disuguaglianze, attraverso i registri e i sistemi informatici europei esistenti; tutti questi dati andranno condivisi
- aggiornamento delle raccomandazioni sugli screening:
- mammografia: si raccomanda di estendere lo screening per il tumore della mammella dalle donne fra i 50 e i 69 anni a quelle dai 45 ai 74 anni, e di considerare misure specifiche per la diagnosi precoce nelle donne con seno denso;
- Pap test e HPV test: si raccomanda di dare la priorità al test per rilevare il papilloma virus (HPV test) nelle donne fra i 30 e i 65 anni, e al Pap test fra i 20 e i 30 anni, promuovendo la vaccinazione contro l’HPV per le giovanissime;
- screening per il tumore colorettale: utilizzare il test immunochimico fecale al posto del test tel sangue occulto nelle feci come esame di primo livello per le persone fra i 50 e i 74 anni, che dovrà servire a indirizzare le persone alla colonscopia di follow-up;
- altri tumori: si raccomanda di estendere i programmi di screening anche ai tumori del polmone (in Italia già ci sono progetti pilota per le persone a rischio come i forti fumatori) e della prostata, così come ai tumori dello stomaco nelle aree in cui l’incidenza dei tumori gastrici è ancora alta;
- innovazione: si raccomanda di tenere in considerazione le più recenti conoscenze scientifiche e le tecnologie più innovative, e di considerare l’introduzione di nuovi programmi che si basano su metodiche minimamente invasive, ad esempio le biopsie liquide, i test del respiro o altri metodi.
IL PUNTO SUI TUMORI FEMMINILI
Per l’Italia diverse delle considerazioni avanzate dalla Commissione non sono una novità: ad esempio lo screening per i tumori cervicali già prevede l’utilizzo dell’HPV test a partire dai 30 anni; lo screening mammografico nazionale, invece, prevede l’invito ad eseguire la mammografia ogni due anni per le donne fra i 50 e i 69 anni. Ma la situazione è in realtà variegata.
LA MAMMOGRAFIA
La discussione sull’utilità di estendere i controlli periodici alle donne più giovani e più anziane, però, coinvolge da decenni la comunità scientifica e i decisori. I dubbi? Derivano dal fatto che gli studi svolti in passato hanno indicato per le quarantenni un beneficio dello screening sul rischio di morire per tumore al seno meno marcato rispetto alla fascia d’età 50-69 (10-15% rispetto al 22% di riduzione di mortalità per carcinoma mammario). Le linee guida del GISMA, il Gruppo italiano screening mammografico, riportano: “Ciò si traduce in un impatto in termini di vite salvate dell’ordine di 1-2 ogni 10.000 donne esaminate rispetto a 4-5 nelle donne oltre i 50 anni”. Questi conti apparentemente crudi devono essere considerati in un’ottica di servizio pubblico e di gestione delle risorse condivise (e limitate). Per questo motivo, il GISMa raccomanda di considerare l’estensione dell’età laddove si è provveduto a garantire l’offerta e l’accesso agli screening a tutte le donne che ne traggono il beneficio massimo, ovvero fra i 50 e i 69. Di fatto, in Italia già molte Regioni consentono di accedere allo screening organizzato e gratuito spontaneamente dai 45 anni e di proseguire i controlli fino ai 74 anni per le donne che hanno partecipato prima.
«DALLE PAROLE ALL’AZIONE»
«Dal 2003, il mondo degli screening e della diagnosi precoce è progredito molto» ha dichiarato Isabel Rubio, Co-Chair della rete dedicata agli screening di ECO, European Cancer Organisation, una federazione non-profit che unisce organizzazioni di professionisti, pazienti e del terzo settore impegnate nella lotta ai tumori, alla quale partecipa anche Fondazione Umberto Veronesi. Questo progresso, ha spiegato Rubio «comprende saper mirare a più forme di cancro, introdurre nuove tecnologie e nuove procedure, migliorare i modelli validati di predizione del rischio negli screening. È una buona notizia che le raccomandazioni agli Stati membri dell’UE riflettano questi cambiamenti e incoraggino tutti i paesi ad aggiornare il loro approccio allo screening al livello delle ultime evidenze. La sfida adesso è trasformare le parole in azione».
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Fonti
Donatella Barus
Giornalista professionista, dirige dal 2014 il Magazine della Fondazione Umberto Veronesi. E’ laureata in Scienze della Comunicazione, ha un Master in comunicazione. Dal 2003 al 2010 ha lavorato alla realizzazione e redazione di Sportello cancro (Corriere della Sera e Fondazione Veronesi). Ha scritto insieme a Roberto Boffi il manuale “Spegnila!” (BUR Rizzoli), dedicato a chi vuole smettere di fumare.