Pubblicati i dati di uno studio sul rischio di un nuovo tumore primitivo, dopo un tumore del seno: aiuteranno a tutelare meglio la salute delle donne guarite
Il tumore al seno è molto diffuso, soprattutto tra le donne: quasi 56.000 nuovi casi l’anno in Italia (circa 500 negli uomini), con 835.000 donne che vivono dopo avere avuto una diagnosi di carcinoma mammario. Se diagnosticato precocemente, ci sono ottime prospettive di guarigione. Purtroppo la malattia si può accompagnare alla possibilità di sviluppare un secondo tumore primitivo (non una metastasi o recidiva del primo, dunque). Su questo tema ha condotto un’ampia ricerca l’Università di Cambridge (Inghilterra) pubblicandola poi sulla rivista Lancet Regional Health – Europe.
UNA RICERCA A 360 GRADI
L’indagine ha cercato non solo di misurare il fenomeno dei secondi tumori, ma anche di conoscere il contesto in cui si verificano, provando fra l’altro che gli esiti peggiori si verificano dove le condizioni socioeconomiche sono più degradate. La povertà induce, infatti, stili di vita non salutari: cibo “spazzatura”, fumo, bevande alcoliche, pochi controlli medici per mancanza di soldi, obesità, niente palestra e così via.
IL CONTESTO
Il tumore al seno è il tumore più diffuso nel Regno Unito: sono 56.000 le diagnosi ogni anno. I miglioramenti nella individuazione precoce e nei trattamenti fanno sì che dopo 5 anni la sopravvivenza sia dell’87 per cento (dato del 2017). La possibilità che in quanti superano la malattia si presenti un secondo tumore primitivo veniva data, da precedenti studi, aumentata del 24 per cento nelle donne e del 27 per cento negli uomini, rispetto alla probabilità di ammalarsi nella popolazione generale. E si ventilava la probabilità che sul rischio influisse l’età in cui la persona aveva ricevuto la prima diagnosi. È su questi dati che si sono mossi i ricercatori dell’Università di Cambridge per arrivare a cifre più certe impiegando il National Cancer Registration Dataset per studiare oltre 580.000 donne e 3.500 uomini che avevano ricevuto la diagnosi di tumore al seno tra 1995 e 2019.
I RISULTATI
I ricercatori hanno rilevato nelle donne e negli uomini colpiti da un tumore della mammella un rischio significativamente più alto di imbattersi in un’altra diagnosi oncologica rispetto alla popolazione generale. Più nello specifico, le pazienti già operate al seno avevano un rischio doppio (aumentato del 100 per cento) di essere colpite nell’altro seno, controlaterale, rispetto alla popolazione generale; un rischio aumentato dell’87 per cento di avere un cancro endometriale, del 58 per cento di una leucemia mieloide, del 25 per cento di un tumore all’ovaio.
Inoltre è emerso che l’età al momento della scoperta del tumore al seno è davvero importante: per le pazienti diagnosticate prima dei 50 anni la probabilità di sviluppare un secondo tumore primitivo era accresciuta dell’86 per cento rispetto alla popolazione generale, mentre se la diagnosi arriva dopo i 50 anni di età il rischio è aumentato del 17 per cento.
IL RUOLO DELLA GENETICA
Una possibile spiegazione è questa: un più largo numero di sopravvissute più giovani potrebbero avere ereditato delle alterazioni genetiche tali da favorire la comparsa di più tumori. Per esempio, le donne che hanno ereditato i geni Brca1 e Brca2 mutati sono a maggior rischio di tumore al seno controlaterale, cancro all’ovaio e al pancreas.
IL RUOLO DELLE CONDIZIONI DI VITA
Sono poi state studiate – come anticipato – anche le donne delle periferie più deprivate ed è risultato che avevano un rischio per un secondo tumore maggiorato del 35 per cento rispetto alle coetanee più abbienti. Tuttavia, il secondo tumore non pareva collegato all’originario tumore al seno, più spesso si trattava di cancro ai polmoni, ai reni, a testa e collo, esofago, stomaco. E la causa potrebbe essere il fumo, l’obesità, l’abuso di alcol.
NUMERI CONTENUTI FRA GLI UOMINI
Quanto agli uomini sopravvissuti a un tumore al seno, sarebbero esposti alla possibilità di un tumore controlaterale 55 volte più della popolazione generale, ma i ricercatori sottolineano che si parla comunque di un rischio di base molto basso. Ad esempio, per ogni cento uomini diagnosticati a 50 anni e oltre, circa 3 svilupperanno un cancro controlaterale nel giro di ben 25 anni. Più probabile per loro che sia colpita la prostata.
CONSAPEVOLEZZA, NON ALLARMISMO
Il dottor Pietro Caldarella, direttore dell’Unità di Chirurgia senologica integrata all’Istituto europeo di Oncologia (Ieo) di Milano, per prima cosa si preoccupa di tranquillizzare le pazienti che già hanno avuto un tumore al seno. «Non spaventatevi! – è il suo messaggio – Fate i controlli per la prevenzione con cura e tutto sarà in ogni caso più semplice. Non è una storia infinita, come può accadere di pensare…». Passa, poi, a spiegare che l’età segna, sì, un discrimine. Se il tumore al seno compare prima dei 50 anni è maggiore la possibilità di un secondo tumore primitivo, si sa che prima della menopausa il cancro è più aggressivo.
LE POSSIBILI SPIEGAZIONI DEI SECONDI TUMORI
«Un’indagine genetica che individui i geni Brca1 e 2 mutati sappiamo che può predire un'eventuale predisposizione a sviluppare altre forme di tumore, ad esempio all’ovaio o al pancreas», spiega il dottor Caldarella. Ci sono poi le donne che hanno avuto il tumore al seno ormonosensibile e che devono prendere ogni giorno una pastiglia di tamoxifene per 5 anni. Queste terapie ormonali si sono dimostrate molto importati per ridurre il rischio di recidive dello stesso tumore, ma al tempo stesso, aggiunge il chirurgo «possono favorire un ispessimento del tessuto dell’endometrio che va tenuto sotto controllo perché può in alcuni casi degenerare in cancro».
Proprio di recente, aggiunge Caldarella, una ricerca dell’IEO sostenuta fra gli altri da Fondazione Veronesi ha scoperto che la mutazione del gene CDH1, già nota per la predisposizione del carcinoma gastrico ereditario, è associata anche ad una rara forma di tumore lobulare del seno, che si presenta prevalentemente nelle donne sotto i 45 anni, o con storia familiare positiva per carcinoma mammario, o con un tumore mammario bilaterale. Ebbene, spiega Caldarella «le donne con questa mutazione che sono state colpite da un tumore della mammella posso avere un rischio più alto della media di sviluppare un secondo tumore primitivo allo stomaco. Si tratta, per loro, di sottoporsi di tanto in tanto a esami gastrici. Queste conoscenze ci aiutano a tutelare la salute della donna con interventi precoci, efficaci, raccomandando loro di fare i controlli della prevenzione e a seguire stili di vita sani».
Fonti
Serena Zoli
Giornalista professionista, per 30 anni al Corriere della Sera, autrice del libro “E liberaci dal male oscuro - Che cos’è la depressione e come se ne esce”.