Tanti i farmaci immunoterapici a disposizione. Ora la ricerca si sta concentrando su come migliorare l'efficacia. Ma per farlo sono cruciali gli studi delle realtà no-profit
I farmaci a disposizione non mancano. Da quelli approvati a quelli in attesa di arrivare nella pratica clinica, l'arsenale di immunoterapici a disposizione per la cura dei tumori è sempre più variegato. Questo però non basta: più si fa ricerca e più si scopre che per farli funzionare in maniera efficiente occorre combinarli tra loro o con vecchie molecole già presenti da decenni. Ma per comprendere a chi dare il giusto farmaco per fare funzionare ancora di più l'immunoterapia, la ricerca degli enti no-profit in collaborazione con l'industria è di fondamentale importanza. E' grazie al loro sostegno che è possibile ideare e sperimentare nuovi approcci. E' questo, in estrema sintesi, il messaggio che è emerso durante la VI edizione del “Think Tank: a vision of I-O. Call for actions” organizzata dalla Fondazione Nibit in collaborazione con il Parker Institute for Cancer Immunotherapy e il World Immunoterapy Council. A discuterne -grazie alla supervisione di Michele Maio, direttore del Centro di Immuno-Oncologia al Policlinico Santa Maria alle Scotte di Siena e presidente di Fondazione NIBIT- sono stati i principali esperti mondiali nel campo dell’immuno-oncologia tra cui James Allison, premio Nobel per la medicina nel 2018, pioniere dell’immunoterapia.
I DIECI ANNI D'ORO DELL'IMMUNOTERAPIA
Dal 2011 -anno di approvazione di ipilimumab, il primo farmaco immunoterapico della storia- ad oggi l'immunoterapia ha fatto passi avanti da gigante. «Grazie ad essa -spiega il professor Maio- abbiamo capito che con il sistema immunitario è possibile controllare la malattia sul lungo termine. Un approccio che ha rivoluzionato la cura di molte neoplasie come il melanoma metastatico e il tumore del polmone. Ad oggi l’immunoterapia può essere usata in quasi tutti i tipi di tumore, da sola o in combinazione ma purtroppo non sempre con gli stessi effetti. Ed è per questa ragione che ora la ricerca si sta concentrando nel tentativo di identificare i meccanismi di resistenza e le combinazioni terapeutiche migliori per ogni singolo tumore perché un'opportuna strategia di combinazione di più immunoterapici con target differenti può cambiare davvero la prospettiva di vita dei pazienti».
IL RUOLO DEGLI STUDI INDIPENDENTI
Ma per arrivare ad identificare quei meccanismi che riducono l'efficacia dell'immunoterapia e impostare nuovi studi per aggirare questo problema, il ruolo dell'accademia e della ricerca no-profit in collaborazione con le aziende farmaceutiche è di cruciale importanza. «In questi anni -prosegue Maio- abbiamo capito che all'utilizzo dei classici immunoterapici occorre integrare una strategia per togliere quel "velo" che in alcuni casi il tumore utilizza per non farsi riconoscere. Lo abbiamo compreso grazie alla ricerca. Ma c'è di più: partendo proprio da questa osservazione l'accademia ha posto le basi per cercare di by-passare il problema. Sono così nati molti studi che prevedono l'utilizzo della chemioterapia, prima della somministrazione dell'immunoterapia, in modo tale da cambiare le caratteristiche del tumore e renderolo più facilmente riconoscibile. Studi possibili grazie al determinante ruolo del no-profit».
IMMUNOTERAPIA ED EPIGENETICA
Un esempio di queste sperimentazioni nasce proprio a Siena dal gruppo di ricerca del professor Maio. Ad essere testato, nello studio NIBIT ML-1, è l'utilizzo combinato di immunoterapia con dei farmaci epigenetici come la guadecitabina, molecola capace di determinare modificazioni nel Dna delle cellule tumorali per poterne modularne l’espressione genica. Gli studi preclinici hanno dimostrato che in questo modo il tumore comincia ad esprimere sulla superficie molecole che hanno un ruolo fondamentale nell'interazione con il sistema immunitario. Successivamente il tumore, reso maggiormente visibile dalla guadecitabina, viene attaccato dal sistema immunitario sitmolato opportunamente dall'immunoterapia. Ad oggi il trial è in corso nei pazienti con melanoma metastatico.
LE COMBINAZIONI CHE CAMBIANO LA PRATICA CLINICA
Un altro esempio pratico di quanto la ricerca no-profit possa cambiare la pratica clinica è lo studio NIBIT M-2 sviluppato dalla professoressa Anna Maria Di Giacomo. Grazie alla ricerca pre-clinica di Fondazione NIBIT è stato possibile mettere a punto un clinical trial che ha cambiato la pratica clinica nella cura del melanoma con metastasi cerebrali asintomatiche o non pre-trattate. L’obiettivo del trial era quello di comparare tre differenti strategie: quella standard -attraverso la somministrazione del chemioterapico fotemustina-, la combinazione di fotemustina e ipilimumab e la combinazione di ipilimumab e nivolumab. Dalle analisi, effettuate su 96 pazienti divisi in tre gruppi a partire da gennaio 2013 a settembre 2018, è emerso che la combinazione ipilimumab e nivolumab è stata in grado di migliorare significativamente diversi parametri tra cui, il più importante, la sopravvivenza a lungo termine, rispetto alle altre due strategie di cura testate. Risultati che hanno dimostrato che è possibile trattare le metastasi cerebrali con l'immunoterapia e che la combinazione dei due agenti è la migliore preservando la qualità di vita. Un'evidenza, possibile grazie al no-profit, che ha cambiato la pratica clinica corrente.
IL FUTURO
«Credo che oggi occorra studiare più in profondità i meccanismi che il tumore mette in atto per evadere la risposta immunitaria. Poterli decifrare rappresenta il punto di partenza per lo sviluppo di nuove strategie da associare all'immunoterapia. Abbandonare questo approccio in determinate neoplasie perché gli studi hanno dimostrato che non funziona non è corretto e gli studi no-profit lo hanno dimostrato. E' proprio lo studio di questi fallimenti che ci consentirà di far funzionare l'immunoterapia dove oggi non è ancora possibile. Ma per comprendere tutto ciò occorrerà sempre di più una collaborazione tra i differenti addetti ai lavori. Lo spirito del Think Tank che ogni anno organizziamo è proprio questo. Mettere a fattore comune l’esperienza maturata dai diversi professionisti per porre le basi della ricerca in immuno-oncologia dei prossimi ann» conclude Maio.
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Daniele Banfi
Giornalista professionista del Magazine di Fondazione Umberto Veronesi dal 2011. Laureato in Biologia presso l'Università Bicocca di Milano - con specializzazione in Genetica conseguita presso l'Università Diderot di Parigi - ha un master in Comunicazione della Scienza ottenuto presso l'Università La Sapienza di Roma. In questi anni ha seguito i principali congressi mondiali di medicina (ASCO, ESMO, EASL, AASLD, CROI, ESC, ADA, EASD, EHA). Tra le tante tematiche approfondite ha raccontato l’avvento dell’immunoterapia quale nuova modalità per la cura del cancro, la nascita dei nuovi antivirali contro il virus dell’epatite C, la rivoluzione dei trattamenti per l’ictus tramite la chirurgia endovascolare e la nascita delle nuove terapie a lunga durata d’azione per HIV. Dal 2020 ha inoltre contribuito al racconto della pandemia Covid-19 approfondendo in particolare l'iter che ha portato allo sviluppo dei vaccini a mRNA. Collabora con diverse testate nazionali.