Nuovi studi rilanciano il legame fra disturbi olfattivi e malattie neurodegenerative come Alzheimer e Parkinson. Dati interessanti anche sul ruolo dell’intestino
Possibile che Parkinson e Alzheimer derivino anche da ciò che passa dal naso o arriva dall’intestino? La teoria, stupefacente per il profano dinanzi a due così gravi malattie neurodegenerative, gira da tempo tra gli scienziati. Ora due ricerche la rilanciano. Il professor Davangere Devanand, direttore del dipartimento di Psichiatria geriatrica dello Stato di New York e docente alla Columbia University, ha arruolato per uno studio sull’olfatto più di mille persone sugli 80 anni, di diverse etnie, tutti senza problemi cognitivi, e li ha seguiti dal 2004 al 2010. All’inizio ha fatto annusare vari odori chiedendo ad ogni persona di identificarli e dando un punteggio a ciascuno secondo una precisa scala olfattiva chiamata Upsit. Nei sei anni dell’indagine 210 dei volontari si sono ammalati di Alzheimer o di un’altra demenza ed erano quelli che, nel test iniziale poi ripetuto altre volte, avevano raggiunto il punteggio minore nella prova di identificazione degli odori. Lo scopo dello studio? Cercare un sintomo molto precoce dell’Alzheimer, quando la malattia, non ancora manifesta, può venire entro certi limiti frenata con i farmaci oggi disponibili. Lo psichiatra della Columbia ha potuto creare anche una tabella: ad ogni punto in meno ottenuto nel test Upsit sale del 10 per cento il rischio di ammalarsi di Alzheimer.
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DIECI ODORI INDECIFRABILI
Prima di passare al Parkinson, ricordiamo che anni fa sempre il professor Devanand aveva individuato 10 odori impossibili da decifrare per quanti sono già malati di Alzheimer ma non lo sanno (i sintomi classici si manifestano dopo tanti anni). I 10 odori “oscuri” accertati sono: fragola, fumo, sapone, mentolo, chiodo di garofano, ananas, gas naturale, lillà, limone e cuoio.
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PARKINSON, OLFATTO E INTESTINO
Quanto al morbo di Parkinson, si era notato che tra i primissimi sintomi figuravano disturbi legati sia alla digestione sia all’olfatto. In questo caso le persone sentono cattivi e strani odori (cacosmia) inesistenti. Il neuropatologo tedesco Heiko Braak una decina di anni fa avanzò l’ipotesi che la malattia origini dall’intestino e da lì arrivi al cervello. Ora studi compiuti nell’Università svedese di Lund portano la prima evidenza diretta di questo possibile viaggio dalla pancia alla testa. Nei topi il professor Jia-Yi Li, che guida il gruppo di ricerca, è riuscito a seguire il percorso di una proteina, l'alfa-sinucleina, già nota per essere coinvolta in varie malattie neuromotorie, compreso il Parkinson. La proteina si introduce nelle cellule, “infettandole” in maniera simile a quanto fa un virus, e danneggiandole. L’equipe dell’università di Lund ha dimostrato che il danno si può propagare, in questo caso, dalle pareti dell’intestino al sistema nervoso centrale, il cervello, e precisamente al centro che regola il movimento. A quel punto, i malati manifesterebbero il classico tremore.
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UNA LUNGA VIA DA BLOCCARE
Per ora la ricerca suggerisce soltanto che la via di comunicazione siano le cellule nervose e che dunque bisognerebbe, un domani, intervenire lungo questo percorso per fermare l’avanzata della malattia verso il cervello.
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CONCAUSE ESTERNE
Giovanni Frisoni, direttore scientifico del Centro Nazionale per la Malattia di Alzheimer di Brescia e Responsabile del Programma sui disordini cognitivi nella Clinica universitaria di Ginevra, conferma l’ipotesi vigente tra gli scienziati che le due gravi malattie neurodegenerative potrebbero essere causate anche da “sostanze tossiche”. E spiega: «L’ipotesi olfattiva è supportata dal fatto che i sottili filuzzi nervosi che trasmettono l’olfatto sono vicinissimi al cervello, e un’eventuale sostanza tossica si trova in grande prossimità alla sostanza grigia cerebrale. In effetti la corteccia orbito-frontale è fra le prime colpite da aggregati neurofibrillari, formazioni classiche dell’Alzheimer. Dall’altro lato sappiamo dai malati di Parkinson che tra i primissimi disturbi avvertono un’alterazione dell’olfatto, disturbo dimostrato anche nei malati di Alzheimer».
SOSPETTI SUI BATTERI INTERNO
Nel caso dell’ipotesi nasale, le sostanze tossiche potrebbero venire dall’esterno. Respirate. Un’altra possibilità è che le sostanze tossiche giungano al cervello dall’intestino. In questo caso la miccia potrebbe venire da fuori, da cibi ingeriti. E’ così? «Forse, ma la causa potrebbe anche essere interna», risponde il professor Frisoni. «Si consideri che nel nostro intestino ci sono più microbi che cellule nel nostro corpo. E non sono ospiti innocenti. “Parlano” con l’organismo umano, è tutta una comunicazione di segnali chimici, anche con il cervello». E’ un’ipotesi attraente, non c’è che dire. Purtroppo occorreranno molti altri studi per verificare se è anche esatta.
Serena Zoli
Giornalista professionista, per 30 anni al Corriere della Sera, autrice del libro “E liberaci dal male oscuro - Che cos’è la depressione e come se ne esce”.