Una ricerca conferma l'efficacia della “tangoterapia”: non solo per il movimento e l’equilibrio, ma anche per l’umore e la memoria. Il ballo argentino funziona perché ha ritmo e uno schema di passi fissi in avanti e indietro
Forse il casché non lo fanno, perché rischia di essere anche troppo veritiero, ma tutti gli altri passi di tango i malati di Parkinson li fanno con gioia e con profitto per la loro condizione. Tanto che si parla di “tangoterapia” e una ricerca della McGill University di Montreal, pubblicata su Complementary Therapies in Medicine, la promuove. È una conferma, perché esiti positivi si erano già registrati, ma questa è la prima ricerca a indagare anche sui riflessi non motori, a livello cognitivo e psicologico.
LA RICERCA
Gli studiosi canadesi hanno sottoposto una quarantina di uomini e donne malate di Parkinson a un corso di tre mesi del ballo argentino col sostegno di due insegnanti di danza e hanno analizzato, all’inizio e alla fine, lo stato delle disfunzioni motorie (tremore, rigidità, andatura anomala) e gli altri sintomi quali depressione, stanchezza, degenerazione cognitiva trovando che il tango, esercitato regolarmente, può rallentare la progressione della malattia. In particolare, col suo ritmo, i passi obbligati, in particolare il dover andare in avanti e poi all’indietro, possono portare benefici all’equilibrio, al senso di stabilità, “ammorbidire” la camminata. Oltre che stimolare la memoria.
PIEDI GELATI E FRENATI
Tipico del disturbo di Parkinson è il freezing, «un sentirsi i piedi congelati che si attaccano al terreno e non c’è verso di andare avanti», spiega la neurologa Vincenza Fetoni, responsabile dell’Ambulatorio per i Disturbi del movimento dell’Ospedale Fatebenefratelli di Milano. «Col tango questo fenomeno può migliorare», continua, illustrando lo studio citato. L’importante è anche la musica e il contatto, l’interazione con gli altri in un contesto che è sì esercizio, ma non lo sembra. Migliorano perciò l’umore e c’è divertimento. «Il tango per i malati del movimento è una delle Terapie non convenzionali.
Si è visto che può aiutare a bilanciare il movimento anche chi è stato colpito da ictus o chi soffre di sclerosi multipla», dice la dottoressa Fetoni. Il tango dà ritmo a chi è disarticolato nel muoversi, la musica “spinge” dolcemente il passo, i movimenti debbono sincronizzarsi. In più, continua la dottoressa, i malati sono sollecitati a uscire dall’isolamento con benefici per l’umore. Ma perché il tango? Vanno bene anche altri balli, tipo il valzer? «Il tango va meglio perché ha dei ritmi ben precisi, è fatto di movimenti di diversa velocità, di continui arresti e accelerazioni, di inversione di marcia, di stacchi improvvisi», spiega la dottoressa Fetoni.
VOLONTARIE DEL BALLO
Francesca Saporiti è una bella signora bionda che abbiamo visto esausta dopo alcuni di questi “pomeriggi danzanti”. «Beh, ballare con un malato di Parkinson non è del tutto semplice perché sono persone scoordinate e nel tango, poi, è l’uomo che conduce… allora è più difficile imporre i movimenti previsti senza offendere la sensibilità delle persone», dice. È la presidente dell’associazione di volontariato Apm Parkinson Lombardia onlus che ha promosso un corso in dieci incontri di tangoterapia con l’ausilio di un esperto fisioterapista.
«Noi stesse, volontarie, abbiamo dovuto prima imparare certi passi, poi abbiamo ballato con attenzione a che nessuno restasse escluso. Bene, a questa iniziativa hanno partecipato anche tanti uomini, che di solito sono restii a mettersi in gioco. Ah, sì sì, migliorano, tra il primo incontro e l’ultimo ballo ci siamo accorte anche noi volontarie che si muovevano meglio», racconta la signora Saporiti. «E poi la musica suggestiona, il divertimento fa dimenticare un po’ tutto per cui si lasciano andare a far cose che altrimenti mai farebbero».
Per esempio? «Nel volteggio c’è un passo incrociato che a freddo non saprebbero fare». Un grande vantaggio, racconta Francesca, è poi fuori dal movimento. L’autostima. «Poter dire o anche solo pensare: io ballo il tango, ho imparato a ballare, li fa sentire più validi. E aiuta a sconfiggere quella brutta compagnia, che ha spesso il Parkinson, della depressione».
Serena Zoli
Giornalista professionista, per 30 anni al Corriere della Sera, autrice del libro “E liberaci dal male oscuro - Che cos’è la depressione e come se ne esce”.