Uno studio canadese: avere problemi di memoria ma non esserne consapevoli (anosognosia) può predire lo sviluppo di Alzheimer
Chi ha problemi di memoria ma non ne è consapevole può avere maggiori probabilità di andare incontro a Alzheimer. E’ anche questa una malattia dal nome non proprio facile: anosognosia, che sarà più agevole da ricordare se lo si scompone nelle sue tre provenienze dal greco: a che indica negazione, nosos che significa malattia e gnosis conoscenza. Cioè non conoscenza (consapevolezza) della (propria) malattia. Ora gli esperti del rischio di Alzheimer da tempo sospettavano che la minore coscienza del proprio stato fosse associata per il paziente a un rapido declino cognitivo.
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COSA DICE LA FAMIGLIA
Ora a suffragare questo sospetto arriva uno studio canadese dalla McGill University di Montreal condotto su 450 persone con un leggero deficit di memoria, ma tuttora autonome nel prendersi cura di se stesse, alle quali è stato chiesto di valutare, dare un voto, alle loro capacità cognitive. Contemporaneamente è stato chiesto il parere di parenti stretti della persona. Quando il paziente dichiarava di stare benissimo mentre parenti/amici stretti riferivano di significative difficoltà, veniva classificato con scarsa consapevolezza della malattia.
ANOSOGNOSIA: COS’È
La anosognosia sarebbe un disordine neurologico che interferisce con la capacità delle persone di capire di avere un problema medico. Secondo il neuroscienziato Antonio Damasio, che ha compiuto importanti studi sulle basi neuronali della cognizione e del comportamento, e in particolare su memoria e Alzheimer, i pazienti sarebbero impossibilitati dal danno cerebrale ad accedere agli input del proprio corpo e farebbero affidamento sulle rappresentazioni dello stato dell'organismo prima del disturbo.
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RISCHIO TRIPLICATO
Lo studio della Mc Gill University, che è stato pubblicato sulla rivista Neurology, mostra che i pazienti con anosognosia hanno un rischio tre volte maggiore di sviluppare la demenza entro due anni. Joseph Therriault, che ha guidato la ricerca, ha dichiarato di aver lavorato su dati presi dall’Alzheimer Disease Neuroimaging Initiative (Adni), un centro di ricerca globale a cui partecipano pazienti che accettano di consegnare le loro valutazioni cliniche e gli esami di imaging. La differenza tra quanti hanno scarsa consapevolezza dei loro deficit di memoria e quanti non ne hanno alcuna, è che nei secondi appaiono una funzione metabolica cerebrale compromessa e più alti livelli di depositi di amiloide, una proteina che si sa accumularsi nel cervello di chi soffre di Alzheimer.
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LA CONSAPEVOLEZZA VARIA
La veloce progressione in due anni verso la conclamata demenza è accompagnata come in uno specchio dall’aumento della disfunzione metabolica cerebrale proprio nelle regioni che sono tipicamente colpite nell’Alzheimer. I ricercatori canadesi sottolineano che il loro studio fornisce “un’evidenza cruciale” sull’importanza di sentire i familiari, i parenti stretti, durante le visite di un paziente con questi problemi. «Ai medici questa ricerca può offrire delle indicazioni sul progredire della disabilità verso la demenza», ha commentato il dottor Serge Gauthier, uno dei ricercatori e direttore del Centro per gli studi sull’invecchiamento della Mc Gill. Lo studio del gruppo di scienziati canadesi proseguirà ora in questa direzione: esplorare come la consapevolezza di malattia cambi attraverso tutto lo spettro, cioè tutte le fasi, della malattia di Alzheimer e come questi mutamenti siano correlati con biomarcatori significativi sempre dell’Alzheimer.
Serena Zoli
Giornalista professionista, per 30 anni al Corriere della Sera, autrice del libro “E liberaci dal male oscuro - Che cos’è la depressione e come se ne esce”.