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Neuroscienze
Serena Zoli
pubblicato il 26-07-2024

Così il cervello umano cambia nel corso dei decenni



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Cresciuti volume e superficie del cervello umano nei nati negli anni ’70 rispetto ai nati 40 anni prima.  I suggestivi risultati del Framingham Study

Così il cervello umano cambia nel corso dei decenni

Il nostro cervello, il cervello umano, si è allargato. Per lo meno confrontando le persone nate negli anni ’30 e quelle nate negli anni ’70 del Novecento. Il divario nel tempo è quello studiato da ricercatori del Centro medico Davis dell’Università della California (Usa) che hanno impiegato, per le misurazioni, l’imaging a risonanza magnetica. Per le persone nate prima si sono avvalsi dei partecipanti al famoso Framingham Heart Study (Fhs), lo studio basato sulla comunità di Framingham, una cittadina del Massachusetts, dove questa ricerca iniziò nel 1948 per capire i modelli della salute cardiovascolare e da allora è sempre in corso.

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LO STUDIO

La coorte iniziale dell’indagine era costituita di 5.209 uomini e donne di età 30-62 anni. Lo studio, continuato per 75 anni, ora include la seconda e terza generazione di partecipanti. L’imaging a risonanza magnetica è stato impiegato tra il 1999 e il 2019 con i volontari del Fhs nati dagli anni ’30 in avanti fino ai nati negli anni ’70. In totale 3.226 partecipanti, al 53 per cento donne e al 47 uomini. Questa ricerca dell’Università della California è stata pubblicata sulla rivista Jama Neurology. Il primo autore dello studio, Charles DeCarli, direttore dell’Uc Davis Alzheimer’s Disease Research Center, ha dichiarato: «Sembra che il decennio in cui uno è nato influisca sulla grandezza del cervello e potenzialmente sulla sua salute cerebrale a lungo termine. La genetica gioca un ruolo di primo piano nel determinare la dimensione del cervello, ma i nostri dati indicano che anche influenze dell’esterno possono contare, parliamo di fattori di salute, sociali, culturali, educativi». Uno dei punti di forza della ricerca è la struttura del Framingham studio che permette ai ricercatori attuali di esaminare le immagini da risonanza magnetica di tre generazioni di partecipanti con date di nascita che “affondano” fin quasi a 80 anni fa.

 

IL VOLUME PIÙ GRANDE DEL 6,6%

Lo studio condotto comparando l’imaging delle persone nate negli anni Trenta e quelle negli anni Settanta ha trovato graduali, ma significativi aumenti in varie strutture cerebrali. Per esempio, il volume intracranico risulta aumentare decennio dopo decennio. Per i partecipanti nati nei Trenta il volume medio era di 1.234 millilitri mentre in quelli degli anni Settanta era di 1.321 millilitri, vale a dire un volume odierno del 6,6 per cento più grande. L’area della superficie corticale – cioé la misura della superficie del cervello – ha evidenziato una crescita anche superiore da un decennio all’altro. Nei partecipanti nati nei Settanta l’area risultava di 2.104 centimetri quadrati contro i 2.056 dei nati nei Trenta: vale a dire un aumento di quasi il 15 per cento. Le stesse cifre maggiorate sono state trovate per altre strutture cerebrali come la materia bianca, la materia grigia e l’ippocampo, una regione preposta all’apprendimento e alla memoria.

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L’ALZHEIMER IN DIMINUZIONE

E veniamo all’Alzheimer. Lo studio ricorda che negli Stati Uniti a soffrirne sono circa 7 milioni di persone e che presumibilmente saranno più di 11 milioni nel 2040. Ma attenzione: questa demenza non è affatto in crescita, se guardiamo all’incidenza. L’aumento complessivo è dovuto all’incremento della popolazione anziana, però se guardiamo alla percentuale delle persone colpite siamo stupiti da un grande decremento: una riduzione del 20 per cento ogni decennio dagli anni ’70.

 

UN CERVELLO PIÙ GRANDE FUNZIONA DI PIÙ?

Questo dato incoraggiante è stato calcolato dallo statunitense National Institute on Aging nel 2016, sempre approfittando dei dati del Framingham studio, con pubblicazione su The New England Journal of Medicine. I ricercatori californiani allora azzardano: la migliorata salute mentale potrebbe fare tutt’uno con la maggiore grandezza del cervello. Nel senso che quest’ultima potrebbe essere la spiegazione della prima. Il professor DeCarli osserva a questo proposito: «Una struttura cerebrale più larga rappresenta una più larga riserva cerebrale e potrebbe tamponare nell’ultima parte della vita gli effetti delle malattie collegate all’età, come Alzheimer e altre demenze». Un’ipotesi che resta da dimostrare con ulteriori studi, anche su una popolazione più eterogenea rispetto a quella esaminata. 

Serena Zoli
Serena Zoli

Giornalista professionista, per 30 anni al Corriere della Sera, autrice del libro “E liberaci dal male oscuro - Che cos’è la depressione e come se ne esce”.


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