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Neuroscienze
Serena Zoli
pubblicato il 01-07-2024

Alzheimer: identificata una nuova e rarissima forma


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La patologia riguarda quasi tutte le persone che possiedono una particolare forma omozigote del gene Apoe4

Alzheimer: identificata una nuova e rarissima forma

Identificato un nuovo tipo di Alzheimer. La scoperta si deve a un gruppo spagnolo del Sant Pau Research Institute di Barcellona ospitata sull’autorevole rivista Nature Medicine. Lo studio rivela che quando in una persona il gene Apoe4 si presenta in una particolare forma omozigote, in quasi tutti i casi si sviluppano segni di malattia di Alzheimer e di tipo genetico. Cosa che questa malattia neurodegenerativa non è, infatti non è considerata ereditaria. Apoe4 era già riconosciuto come il maggiore fattore di rischio per tale patologia che porta il nome del suo scopritore tedesco, nel 1906, ma adesso questa ricerca dimostra che può essere qualcosa di più, una causa.

MUTAZIONE PRESENTE NEL 2% DELLA POPOLAZIONE

I ricercatori spagnoli hanno analizzato i cervelli post mortem di 3.297 donatori, compresi 273 campioni con doppi alleli (omozigoti) Apoe4, e i dati clinici e biomarcatori di oltre 10.000 persone con biomarcatori della malattia di Alzheimer, compresi 519 individui omozigoti Apoe4. «Questo gene è conosciuto da più di 30 anni ed era associato a un maggiore rischio della malattia di Alzheimer – dichiara il dottor Juan Fortea, capo dell’équipe di Barcellona. – Ma ora noi sappiamo che quasi tutte le persone che lo hanno duplicato sviluppano questa demenza, per di più in anticipo. Un fatto importante perché riguarda il 2 per cento della popolazione». E ogni differente genesi implica poi differenti misure di prevenzione e di ricerca terapeutica.

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TRATTAMENTO DEI DATI PERSONALI

I PRIMI SEGNALI A 55 ANNI

Nei pazienti omozigoti ApoE4, i primi biomarker si presentano in età precoce, a 55 anni, mentre dai 65 anni in poi più del 95 per cento ha livelli abnormi di amiloide nel liquido cerebrospinale e nel 75 per cento dei casi ha positività all’amiloide. Con questo termine si intendono depositi di proteine anomali, tipici dell’Alzheimer se si localizzano nel sistema nervoso centrale. Riprende il dottor Fortea: «Sulla base dei nostri risultati riteniamo che l’omozigote Apoe4 rappresenti una forma distinta di Alzheimer e di tipo genetico. Analogamente, alcuni anni fa, abbiamo proposto una nuova visione della sindrome di Down come una parte genetica sempre dell’Alzheimer».

L’ALZHEIMER NON È EREDITARIO

A questo punto riguardiamo all’intera questione con la supervisione del professor Leonardo Pantoni, direttore della Neurologia all’ospedale Sacco di Milano e ordinario di Neurologia all’Università di Milano. «In oltre il 99 percento dei casi l’Alzheimer non è genetico – esordisce -. Tant’è che ai figli che chiedono: può venire anche a me?, rispondiamo no, non è ereditario. Ora, in Italia è affetto da questa patologia più di un milione di persone. In questa massa, da una trentina di anni abbiamo in realtà individuato alcune forme familiari, dunque genetiche, sebbene molto molto rare. Sono forme dove c’è un gene alterato che si trasmette secondo le regole della genetica, il che significa che passa a tutte le generazioni, ma – attenzione – non a tutti i generati, cioè i figli. Se i figli sono, poniamo, 100, erediteranno la malattia solo 50, cioè il 50%».

ALCUNI TIPI RARI PASSANO AI FIGLI

Sono casi, continua il professor Pantoni, legati alla mutazione di tre geni - citati anche nella ricerca di Juan Fortea - chiamati APP, Psen1 e Psen2, davvero molto rari. Questi tipi di Alzheimer hanno insorgenza giovanile, sui 40-50 anni, e forma di trasmissione ereditaria. Riprende Pantoni: «Si sapeva che il gene Apoe4 era il più grosso fattore di rischio, ma non la causa. Ora è dimostrato che se si presenta in due copie, duplicato, diventa la causa di una forma distinta di Alzheimer che colpisce pressoché tutti, con le aggravanti di essere più precoce e trasmissibile ai figli». In margine a questo risultato, una nota se si vuole positiva viene da questa osservazione del docente milanese: «Tutte le forme genetiche delle malattie sono importanti perché si può riuscire a capirne i meccanismi, dunque le cause, quella che chiamiamo la patogenesi, e sulla base di questi dati si può trovare un’indicazione per la strada che porta alle terapie specifiche».

SOMIGLIANZE NEI CERVELLI DELLE PERSONE CON SINDROME DI DOWN

Nella loro ricerca gli scienziati di Barcellona chiamano in causa, per una forma di analogia, la sindrome di Down, con riferimento a loro precedenti studi. Chiediamo lumi a Leonardo Pantoni. Che spiega: «Analizzando cervelli persone con sindrome di Down deceduti si trovano alcune caratteristiche simili a quelle nei cervelli malati di Alzheimer. Anche qui c’è deposito amiloide e da molto tempo si ipotizza che la sindrome possa far parte delle cosiddette “malattie amiloidee” come l’angiopatia amiloide cerebrale o la demenza da traumi cranici ripetuti (il caso di alcuni pugili). In realtà non sappiamo benissimo dove collocarla, perché la malattia di Down è genetica, sì, ma non lo è come le altre: qui, infatti, l’elemento saliente è la presenza di un cromosoma in più».

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Serena Zoli
Serena Zoli

Giornalista professionista, per 30 anni al Corriere della Sera, autrice del libro “E liberaci dal male oscuro - Che cos’è la depressione e come se ne esce”.


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