Nuovi studi sulla sordità senile mostrano come sia rischiosa per la salute fisica e psichica. E come il settore sia stato sempre trascurato
Chi meno ci sente, più inciampa. L’udito appare strettamente legato all’equilibrio man mano che le ricerche su questo tema aumentano. Viene dalla Corea del Sud uno studio - pubblicato sul Journal of the American Medical Association - che associa la diminuzione dell’udito all’instabilità posturale negli anziani. Sono state prese in esame 3.864 persone dai 40 anni in su, i cui dati uditivi sono stati prelevati dalla quinta edizione di una indagine nazionale sulla salute che si è tenuta in Corea tra 2010 e 2012. Ciascun partecipante era stato sottoposto a un semplice esame sul tono audiometrico sui due lati, catalogando poi il risultato dell’orecchio destro e sinistro in tre categorie: udito normale (26 decibel o più), sordità lieve (26 40 dB), sordità moderata, o grave (oltre 40 dB). Per misurare il senso dell’equilibrio, è stato chiesto di restare fermi dritti su una pedana in schiuma di poliuretano con i piedi distanti dieci centimetri, le braccia conserte e le mani sui gomiti, gli occhi chiusi. Limite minimo di resistenza: almeno 20 secondi. Per chi non ci riusciva, la diagnosi di instabilità posturale.
ANZIANI: QUALI SONO I PRIMI SEGNI
DELLA PERDITA DELL'UDITO?
DONNE PIU' A RISCHIO DI PERDERE L'UDITO CON L'ETA'
Il livello individuato come soglia della perdita senile dell’udito nella ricerca era fissato in 26 decibel (dB) o più. L’età media della coorte indagata era di 58 anni, le donne sono il 55 per cento. Ed ecco che proprio il sesso femminile è risultato associato a una maggiore instabilità posturale. Inoltre, il livello di scarso equilibrio appare crescere per ogni anno di età in più. Lo stadio di sordità ritenuto lieve (sia unilaterale sia bilaterale) non è risultato associato a problemi di equilibrio, invece il livello moderato o più grave presente (anche solo in un orecchio) appare legato a diversi gradi di instabilità posturale. Ora, come avvertono gli scienziati sudcoreani nel loro studio, la sordità che avanza con l’età è il più comune disturbo cronico degli anziani. Tanto da interessare il 6 per cento della popolazione mondiale. Ed è un disturbo che ne crea altri, senza che se ne abbia consapevolezza.
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ANZIANI ISOLATI SE CALA L'UDITO
Il rimedio al non sentirci bene è costituito esclusivamente dagli apparecchi acustici, che scontano almeno due grossi problemi: i costi elevatissimi (perché?) e l'essere considerati un «tabù». A differenza degli occhiali, anche con lenti spesse, le persone si «vergognano» a indossarli e in effetti sul tema circolano tante battute ironiche svalutative. Eppure, come illustrava bene una fotografia pubblicitaria di gruppo con un signore di mezza età chiuso in una campana di vetro, il non sentirci bene isola dagli altri, fa sentire esclusi, oltre che imbarazzati. E può generare ansia, depressione e «avvicinare» un processo di demenza. L’uso degli apparecchi acustici risulterebbe tenere a distanza queste malattie per almeno tre anni. E ridurre le cadute accidentali e le conseguenti ferite. Lo afferma uno studio dell’Università di Michigan (Usa) pubblicato sul Journal of the American Geriatrics Society. «Con il contrasto alla sordità, si migliora il coinvolgimento sociale della persona, si riducono gli sforzi nel tentativo di cogliere i suoni e i discorsi e aumentano sia il senso di stabilità sia di equilibrio - spiega Elham Mahmoudi, ricercatrice in economia sanitaria e prima firma della pubblicazione -. Insieme, cresce il senso di indipendenza e di fiducia in se stessi».
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GLI APPARECCHI ACUSTICI FANNO LA DIFFERENZA (MA COSTANO TROPPO)
Gli scienziati dell’Università del Michigan sono partiti dalle pratiche assicurative di 114.862 adulti dai 66 anni in su che avevano ricevuto, tra il 2008 e il 2013, la diagnosi di una perdita dell’udito e la prescrizione di indossare apparecchi acustici, e li hanno seguiti per tre anni. A questa data, i ricercatori hanno constatato che l’11 per cento delle donne e il 13 per cento degli uomini avevano usato continuamente gli auricolari prescritti e i dati emersi sulla loro salute complessiva sono più che positivi: un rischio del 18 per cento inferiore di una diagnosi di demenza senile, 11 per cento in meno di ansia e di depressione. E un 13 per cento in meno di cadute rovinose. Il tutto confrontato col gruppo che aveva rifiutato o messo da parte gli auricolari. «È vero - concludono i ricercatori - che questi apparecchi sono costosi, ma tutte le spese mediche provocate dal non usarli portano a una cifra, per il bilancio salute, molto più alta». Ma possibile che oggigiorno esistano soltanto aiuti meccanici e non farmaci, medicine, per far recuperare l’udito perso o anche soltanto fermarlo?
NUOVE SPERANZE PER CURARE LA PERDITA DELL'UDITO CON I FARMACI
La risposta viene da un’altra ricerca del King’s College London pubblicata sull’American Journal of Human Genetics. Sì, è così scrivono gli scienziati inglesi, si sa pochissimo su questo disturbo. E il risultato cui sono arrivati - premessa per possibili terapie farmacologiche - è l’individuazione di 44 geni legati all’invecchiamento dell’udito. «Prima del nostro studio erano stati identificati soltanto cinque geni, mentre la nostra ricerca ha quasi moltiplicato per nove i possibili biomarcatori», commenta Sally Dawson, ricercatrice esperta in audiologia molecolare. L’indagine è stata condotta sui dati genetici di 250mila persone di età 40-69 anni rilevati dalla Uk Biobank. «I geni da noi individuati indicano nuove strade biologiche da indagare per giungere a validi trattamenti contro la perdita dell’udito».
Fonti
Serena Zoli
Giornalista professionista, per 30 anni al Corriere della Sera, autrice del libro “E liberaci dal male oscuro - Che cos’è la depressione e come se ne esce”.