La "responsabilità" è dell'azione inibitoria nei confronti delle cellule immunitarie del cervello, che finiscono per danneggiare le sinapsi. Il dato, per ora testato in laboratorio, è però reversibile
Una dieta ad alto contenuto di grassi non fa solo diventare obesi, ma può sospingere un certo declino cognitivo. Lo sostiene una ricerca apparsa sulla rivista Brain, Behavior, and Immunity, condotta dal Medical College of Georgia alla Georgia Regents University. E’ stata finora condotta soltanto su modelli da laboratorio, ma è interessante e, volendo, inquietante, il meccanismo rivelato: le cellule immunitarie abitualmente vivaci, in continuo movimento dentro il nostro cervello, con una dieta ricca di grassi diventano “sedentarie”. Il ruolo di queste cellule della glìa (microglìa), che costituiscono la prima e più efficace difesa, è di fare le “spazzine”, fagocitano ovunque li trovino neuroni danneggiati e detriti vari così da liberarne il sistema nervoso centrale.
LE “SPAZZINE” INGOIANO TUTTO
Una volta divenute sedentarie, le cellule della microglìa continuano a fagocitare, secondo la loro funzione, ma non muovendosi più alla ricerca di detriti, “mangiano” anche le connessioni tra i neuroni, le cellule nervose che ha intorno. Tali connessioni – sinapsi – lasciano passare i neurotrasmettitori mettendo in contatto le varie parti del cervello così che possa acquisire nuove conoscenze ed emozioni. Nell’esperimento, gli animali da laboratorio resi obesi con una dieta al 60 per cento grassa risultano di fatto meno capaci di apprendere. Da varie misurazioni appaiono cambiamenti a livello dell’ippocampo, che è il centro cerebrale dell’apprendimento e della memoria, e un diminuito numero di sinapsi.
PROCESSO REVERSIBILE
C’è però un lato positivo in questo esperimento, hanno scritto i ricercatori americani della Georgia Regents Univerity. Dopo 12 settimane hanno alleggerito di grassi la dieta di metà delle cavie e queste, in due mesi, hanno ripreso il peso normale: ed ecco che anche gli altri valori sono riapparsi normali. Il fatto positivo sta, dunque, nell’assoluta reversibilità del processo.
PRUDENZA CON L’UOMO
Studio interessante, giudica quanto sopra Francesco Cavagnini, Direttore del Laboratorio di ricerche in neuroendocrinologia all’Istituto Auxologico di Milano, ma subito propone cautela. «Nel senso che c’è un divario enorme tra i risultati degli studi con modelli sperimentali e le applicazioni terapeutiche. Quindi, enorme prudenza! Faccio un esempio, sempre a proposito dell’obesità: negli ultimi 50 anni si sono compiuti passi giganteschi nella conoscenza dei meccanismi di controllo del comportamento alimentare. Conosciamo le sostanze anoressizzanti (che tolgono la fame) e le opposte oressizzanti. Eppure, all’atto pratico, in ambulatorio, dinanzi a un obeso, possiamo solo dirgli: mangia meno. Non abbiamo una medicina efficace». Quando c’è obesità, c’è sempre uno stato infiammatorio, continua la spiegazione, e le cellule della microglìa sono in stretto collegamento data la loro funzione di controllare la buona attività delle sinapsi. «Ora in questa ricerca si vede che con meno sinapsi, minori sono anche i processi cognitivi e peggiora la funzionalità dell’ippocampo. Il lato positivo è che cambiando la dieta, c’è dimagrimento, ma soprattutto torna buona la funzionalità della microglìa. Un’ennesima dimostrazione dell’eccezionale plasticità del sistema nervoso!».
C’E’ OBESO E OBESO
E, fuori dal laboratorio, per gli umani, si può dedurre o intravedere qualcosa da questa ricerca? «Sugli uomini sono stati fatti pochi studi. Pare che l’obeso invecchiando abbia un declino cognitivo maggiore degli altri. Ma in quale tipo di obeso? E siamo certi che sia l’obesità la causa del declino? Sono indispensabili molti altri studi sul tema».
Serena Zoli
Giornalista professionista, per 30 anni al Corriere della Sera, autrice del libro “E liberaci dal male oscuro - Che cos’è la depressione e come se ne esce”.