Nello studio "C19-screendog", coordinato dall'Università Politecnica delle Marche, cani preparati riescono a fiutare la presenza del virus del Covid-19
Individuare in maniera veloce, economica e non invasiva le persone infettate dal virus Sars-CoV-2: oggi la ricerca indaga anche l’aiuto dell’amico più fedele dell’uomo, il cane.
IL PRIMO STUDIO MULTICENTRICO IN ITALIA
Attraverso il primo studio scientifico multicentrico condotto dall’Università Politecnica delle Marche (UNIVPM), infatti, è emerso come i cani, preparati da cinofili esperti, semplicemente annusando le persone, possano rappresentare un valido sistema di screening per individuare i positivi. La sensibilità dei cani, ovvero la capacità di identificare correttamente i soggetti ammalati, è risultato essere compresa tra il 98 e il 100%, maggiore rispetto ai test antigienici rapidi che hanno una sensibilità tra l’87 e il 98%. I risultati dello studio “C19-screendog” sono stati presentati lo scorso mese in occasione di un convegno tenutosi nell’Aula Magna dell’Università Politecnica delle Marche.
IL FIUTO CANINO
Il fiuto finissimo dei cani è proverbiale. Essi, infatti, riescono ad annusare sostanze dell’ordine di grandezza del fentomolilitro, ovvero un milione di un milionesimo di litro: vuole dire che il cane riesce a fiutare l’equivalente di una goccia d’acqua in 100 piscine olimpioniche. «I cani – spiega la professoressa Maria Rita Rippo dell’UNIVPM, coordinatore del progetto – possiedono 1.100 geni che codificano per proteine che sono coinvolte nell’olfatto, mentre l’uomo ne ha solo 350. Inoltre, l’epitelio olfattivo dei cani è estesissimo, oltre 10 volte rispetto al nostro e il numero di recettori olfattivi arriva fino a 300 milioni, mentre nell’uomo si parla di 5-6 milioni. Infine, il bulbo olfattivo dei cani è tre volte più grande del nostro».
CAPACITÀ DEI CANI DI “FIUTARE” PATOLOGIE
«La capacità dei cani da rilevamento di fiutare con elevata sensibilità e specificità odori emessi dal nostro corpo – prosegue Maria Rita Rippo – , è nota da tempo ed è stata applicata con successo in vari campi, compreso quello clinico come nella diagnosi dei tumori e nell’allerta del diabete». Nello specifico, quello che i cani riescono a fiutare sono i composti organici volatili (VOC) presenti in molti campioni biologici umani e prodotti da molti tipi cellulari diversi che, nel complesso, costituiscono il volatiloma. L’odore del nostro corpo dipende dalla combinazione di centinaia di VOC, il cui profilo riflette lo stato metabolico o fenotipico dell’organismo vivente che li produce. Si possono trovare, ad esempio, nel respiro, nelle lesioni cutanee, nel sangue, nelle urine, nelle secrezioni vaginali e nelle feci. Alcuni studi scientifici hanno recentemente dimostrato che i cani da rilevamento opportunamente addestrati sono in grado di riconoscere anche i VOC contenuti in campioni di saliva, secrezioni tracheobronchiali o sudore ascellare di soggetti con Covid-19. Tuttavia, a mancare erano studi su larga scala che potessero fornire un campione statisticamente significativo.
LO STUDIO “SCREENDOG-19”
Durante lo studio sono stati raccolti i campioni di sudore dai pazienti nei drive in di Macerata e Sassari (Area Vasta 3 e Assl Sassari). Successivamente, c’è stata la fase di imprinting dei cani: gli animali sono stati educati dai cinofili esperti a distinguere i campioni positivi dai negativi e a segnalare, sedendosi, solo i positivi. Infine, è avvenuta la validazione del test ai drive in, fondamentale per dimostrare che i cani sono in grado di segnalare i positivi in una situazione reale, in cui non è più il campione di sudore a essere annusato, ma direttamente la persona stessa. In 5 mesi sono stati testati 1.251 soggetti, tra vaccinati e non, di cui 206 positivi. È emersa una sensibilità dei cani specializzati a rilevare il Covid-19 tra il 98% e il 100%, maggiore rispetto ai test antigienici rapidi.
L'APPORTO DEI VETERINARI
Grazie alla collaborazione dei ricercatori veterinari dell'università di Camerino, è stata inclusa nello studio anche l'analisi del benessere dei cani: si è giunti alla conclusione che nessun indicatore comportamentale di stress, stanchezza o esaurimento è stato rilevato durante tutte le fasi, inclusa la sessione di screening. L’attività svolta nello studio, dunque, non ha avuto un impatto negativo sul benessere del cane. «Il nostro ospedale veterinario – rassicura il professor Andrea Spaterna, prorettore dell’Università di Camerino – ha avuto il compito di verificare che questi animali, nell’espletamento dell’attività, non manifestassero segni di sofferenza, malessere o stress. Il nostro ruolo è stato quello di verificare che i cani percepissero questa attività come un gioco, un divertimento e non come una situazione generante ansia o stress, escludendo qualsiasi ripercussione negativa sul loro stato di benessere, nel rispetto più assoluto degli animali».
I VANTAGGI E LIMITI
Considerando che la diagnosi di Covid-19 prevede l’utilizzo di esami e test invasivi e costosi, che richiedono tempo per essere effettuati, l’impiego dei cani porterebbe numerosi vantaggi. L’olfatto canino è paragonabile, come efficacia nel riconoscimento di determinate sostanze, a macchinari di laboratorio sofisticati come il Gascromatografo, con costi nettamente inferiori. Inoltre, il cane è mobile, può essere portato ovunque e non è per nulla invasivo. Certamente non vanno dimenticati alcuni limiti rappresentati ad esempio da problemi di standardizzazione e di controllo della qualità e dalla variabilità da animale ad animale. Tuttavia, non è da sottovalutare la figura positiva del cane, sicuramente più piacevole della sensazione ormai nota di un tampone infilato nel naso o in gola, alla quale, ancora, non ci siamo abituati.
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Fonti
Caterina Fazion
Giornalista pubblicista, laureata in Biologia con specializzazione in Nutrizione Umana. Ha frequentato il Master in Comunicazione della Scienza alla Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati (SISSA) di Trieste e il Master in Giornalismo al Corriere della Sera. Scrive di medicina e salute, specialmente in ambito materno-infantile