In alcuni casi, le cure oncologiche possono determinare difficoltà nel concepimento e sterilità. I consigli per non abbandonarsi alla sofferenza
Non sempre le donne hanno la possibilità di affrontare una gravidanza e avere un figlio dopo aver superato una malattia oncologica. La sterilità e la difficoltà nel concepimento legate ai trattamenti antitumorali possono avere un pesante impatto sul benessere psichico. Spesso sono vissute come una perdita di una parte di sé, della propria femminilità, del proprio ruolo biologico e sociale. Insieme a queste sensazioni si tende a essere assaliti da un senso di inadeguatezza, smarrimento, da una fragilità interiore molto forte.
Nella nostra tradizione culturale, l’essere donna infatti è spesso associata alla capacità di procreare. Le altre dimensioni della realizzazione personale spesso sono viste come ausiliarie rispetto a questo compito biologico e sociale. Al di là dei condizionamenti culturali, la maternità può essere anche un intenso desiderio personale che si infrange di fronte alla perdita della fertilità. Per questo, l’incapacità di concepire può innescare un senso di forte malessere psicologico che può sfociare anche in depressione.
Come agire, dunque, di fronte a questo cambiamento nella propria prospettiva di vita? Piuttosto che immobilizzarsi nella sofferenza, si può lavorare per costruire un altro progetto di vita in cui la maternità biologica sia sostituita da altre forme di realizzazione personale: una maternità adottiva, il lavoro, le passioni personali. Non si tratta semplicemente di un ripiego, ma dell’apertura ad altre possibilità tra le infinite opzioni che la vita offre.
È un cambiamento che di certo non è semplice: ma con pazienza, fiducia in se stessi e il supporto delle persone che si hanno a fianco si può riuscire ad attuarlo. Il contributo di uno psicologo può essere prezioso in questi casi per far emergere le possibili alternative o per accompagnare la persona nel periodo di lutto per la perdita di una potenzialità importante come quella della maternità, che non preclude, però, altre forme di genitorialità o altri piani di vita.