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I nostri ricercatori
Matteo Gullì
pubblicato il 19-06-2017

Un test di autodiagnosi per il tumore al seno



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L’esito letale di questo cancro spesso è dovuto al suo riconoscimento tardivo. Stefano Cinti sta mettendo a punto uno strumento di autodiagnosi rapido ed efficace

Un test di autodiagnosi per il tumore al seno

Il tumore al seno rappresenta non solo la neoplasia più frequente, ma anche la prima causa di morte oncologica nel sesso femminile. Si calcola che circa un donna su otto venga colpita nel corso della vita, e che il 17 per cento dei decessi di natura tumorale nelle donne sia dovuto proprio al cancro al seno. Fondamentale è perciò la diagnosi precoce della malattia. Ogni donna dovrebbe saper cogliere sintomi sospetti, sebbene nelle prime fasi questi siano spesso molto lievi o assenti. Nonostante i progressi nelle cure, vista l’elevata incidenza, il tumore al seno costituisce tutt’oggi un pericolo concreto per le pazienti e una sfida per i ricercatori, che continuano a impegnarsi nello sviluppo di nuove strategie terapeutiche. A monte delle cure, il lavoro del ricercatore Stefano Cinti mira a mettere a punto un innovativo dispositivo di autodiagnosi per ovviare alle difficoltà nel rilevamento precoce del tumore al seno, soprattutto dove i programmi di screening strumentali non sono capillari. Sostenuto dal progetto Pink Is Good della Fondazione Umberto Veronesi, il chimico romano effettua le sue ricerche presso l’Università degli Studi di Roma Tor Vergata.
 

Stefano, ci parli più nel dettaglio del tuo progetto?

«Con un’incidenza da anni in aumento in tutte le aree del globo, il tumore al seno è una forma tumorale che per le sue caratteristiche non offre la possibilità di una semplice diagnosi precoce. L'obiettivo del mio lavoro è sviluppare un dispositivo di facile utilizzo che permetta a chiunque, senza la necessità di particolare esperienza, di eseguire un test diagnostico per la determinazione del cancro al seno. Lo strumento di autodiagnosi ultimato consisterà in una piattaforma costituita da carta da filtro in cui saranno fissati Dna e nanomateriali. Le sequenze di DNA fissate sul supporto cartaceo avranno il compito di riconoscere e legare filamenti di DNA mutati rilasciati nel sangue in caso di presenza tumorale; una volta avvenuto il riconoscimento, un complesso a base di nanoparticelle d'oro e nanomateriali del carbonio (grafene, nanotubi) provvederà a fornire un segnale facilmente visualizzabile. Chiunque, in qualsiasi posto, sarà in grado di effettuare un controllo rapido e preliminare senza la necessità di recarsi in strutture ospedaliere».
 

Quali vantaggi apporterà l’utilizzo di questo strumento alla vita dei pazienti e alla salute umana?

«A livello globale, questo test permetterà a coloro che si trovano in zone remote, con limitazioni riguardanti strutture ospedaliere e personale specializzato, di ricevere una diagnosi precoce che velocizzerà l'inizio del percorso terapeutico, aumentando significativamente le possibilità di guarigione».
 

Hai mai avuto esperienze di ricerca all’estero? Cosa ti ha spinto a partire?

«Ho svolto diversi lavori di ricerca all’estero, vivendo fuori dall’Italia per circa un anno e mezzo tra il 2012 e il 2016: sono stato a Oulu in Finlandia, Bristol in Inghilterra, San Diego e Santa Barbara in California. Ho sempre trovato la motivazione nella voglia di confrontarmi con altre realtà, altre culture, migliorare il mio inglese e conoscere nuove persone. Con molte di loro ancora sono in contatto e in buoni rapporti: nel corso di queste esperienze l’aspetto umano ha sempre avuto un’importanza fondamentale».
 

Come ti vedi fra dieci anni?

«Tra 10 anni spero di essere diventato un ricercatore stimato e di poter trasmettere la mia passione e le mie idee a ragazzi che come me proveranno ad intraprendere questa strada così appagante e impervia».


C’è qualche aspetto del tuo lavoro che vorresti evitare?

«La corsa alla pubblicazione: la pressione a cui oggi sono sottoposti i ricercatori, a questo proposito, rischia di dare risultati opposti a quelli attesi».
 

Oggi molto discussa è la diffusione di un sentimento antiscientifico che sembra sempre più radicato in parte del pubblico: a cosa pensi sia dovuto questo atteggiamento?

«Credo che in molti si facciano condizionare dal parere di persone non sufficientemente preparate. La scienza, tuttavia, vive non di opinioni infondate ma di solide evidenze su cui impostare ipotesi valide. Per comprendere il metodo scientifico occorre innanzitutto una preparazione culturale, prima che scientifica,. Per questo, toccherebbe allo stato stabilire delle modalità di avvicinamento dei “non addetti ai lavori” al mondo della scienza, attraverso campagne di comunicazione, divulgazione, incontri nei musei e giornate nei laboratori».
 

Hai qualche passione o interesse che ti tiene occupato nel tempo libero?

«Gioco a calcio a 5 in un campionato FIGC nella categoria serie C2. Sono allenatore di calcio a 5 da 5 anni, quest’anno alleno la categoria di Under 21 regionale (FIGC Lazio)».


Descriviti con tre pregi e tre difetti.

«Altruista, Dinamico, Tenace. Permaloso, Puntiglioso, Egocentrico».


Qual è la tua più grande paura?

«Non sentirmi realizzato a livello personale e professionale».


Qual è il tuo libro preferito?

«“1984” di George Orwell». 

 

 


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