Le probabilità di ammalarsi di tumore al seno crescono in base al tipo e alla durata della terapia ormonale sostitutiva. I consigli dell'esperto: quando serve la Tos, quando i rischi sono nulli, come proteggersi
L'utilizzo prolungato della terapia ormonale sostitutiva da parte delle donne in menopausa influisce sul rischio di ammalarsi di tumore al seno. La correlazione era nota, soprattutto a fronte di un utilizzo protratto nel tempo. Ma l'esito di una revisione di studi pubblicata sulla rivista The Lancet conferma che le probabilità di ammalarsi risultano (di poco) più elevate fino a dieci anni dopo aver sospeso l'assunzione di ormoni. Detto ciò, gli autori escludono qualsiasi allarmismo e invitano a considerare l'opportunità di ricorrere alla terapia ormonale sostitutiva quando serve per alleviare i problemi legati al termine della fase fertile.
I fitoestrogeni possono essere indicati durante la menopausa?
QUANDO SERVE LA TERAPIA ORMONALE SOSTITUTIVA?
La terapia ormonale sostitutiva rimane un'opportunità, che deve però essere caldeggiata a fronte di precise condizioni: la presenza di sintomi riconducibili alla carenza degli ormoni sessuali (dolori muscolari, alterazioni del ritmo sonno-veglia, del metabolismo e del tono dell'umore, vampate, disfunzioni sessuali, fragilità ossea, sindrome genitourinaria, ritenzione idrica) e un'eventuale menopausa precoce. E comunque senza essere ritenuta la panacea di tutti i mali, dal momento che la dieta e l'attività fisica giocano un ruolo parimenti cruciale nell'aiutare la donna a ritrovare un equilibrio con il proprio corpo. «Questo lavoro conferma che la terapia ormonale sostitutiva non deve essere consigliata in assenza di una chiara indicazione - dichiara Giuseppe De Placido, direttore dell'unità operativa complessa di ginecologia e ostetricia del policlinico Federico II di Napoli -. Oggi siamo in grado di gestire il rapporto tra i benefici e i rischi di questa cura grazie anche alla disponibilità di molteplici farmaci che ci permettono di calibrare la prescrizione in base ai sintomi e alle condizioni cliniche generali della donna».
MENOPAUSA: QUANDO E' INDICATA
LA TERAPIA ORMONALE SOSTITUTIVA?
«TOS» E TUMORE AL SENO
Negli anni, con l'incremento dell'offerta, si è ampliato anche il ventaglio delle evidenze dei benefici (secondari) indotti dalla terapia ormonale sostitutiva nella prevenzione, per esempio, dell'osteoporosi e dei disturbi cardiovascolari e della depressione. Ma è la possibile correlazione con un aumentato rischio di ammalarsi di tumore al seno che ha sempre frenato la sua diffusione: almeno in Italia, dove oggi non più del cinque per cento delle donne in menopausa vi ricorre. L'ultima revisione conferma questa ipotesi, circoscrivendola nei numeri. Gli autori hanno analizzato tutti gli studi prospettici condotti tra il 1992 e il 2018 in cui era stato registrato il tipo e la durata della terapia ormonale seguita. Oltre a monitorare l’incidenza del più diffuso tumore femminile: rilevato in oltre centomila donne, ammalatesi all'età (media) di 65 anni. La metà di loro aveva fatto ricorso alla «Tos», iniziando a seguirla all'incirca tre lustri prima. Partendo da questi dati, è stato possibile stimare il rischio che ogni donna corre, a seconda della modalità di gestione della menopausa, di sviluppare un tumore al seno.
Vampate persistenti in menopausa associate al rischio di tumore al seno
CONTA LA TERAPIA (E PER QUANTO LA SI SEGUE)
Un aumento, in effetti, è stato registrato. Ed è risultato persistere nel tempo, anche dopo aver sospeso la terapia ormonale sostitutiva. Ma andiamo con ordine, analizzando le conclusioni della revisione. Se tra le donne che non la seguono ad ammalarsi tra i 50 e i 69 anni è all'incirca una su 16, l'aumento della probabilità legato all'assunzione della «Tos» varia con le diverse terapie. Secondo i risultati dello studio, il maggiore incremento riguarderebbe le donne che fanno regolarmente ricorso a farmaci a base di estrogeni e progesterone (si ammala una su 12). Il rischio cala invece se si segue la stessa terapia in modo non continuato (una su 13) o se si fa uso di estrogeni (una su 14). La probabilità di ammalarsi sarebbe inoltre doppia tra le donne che la assumono per dieci anni anziché per cinque, come indicato nelle principali linee guida. Importante segnalare che risulta invece trascurabile l'incremento del rischio per chi la segue per meno di un anno, indipendentemente dal farmaco scelto. Nullo per chi ricorre agli estrogeni per uso vaginale, che spesso non raggiungono il circolo sanguigno.
ATTENZIONE AI CHILI DI TROPPO
Il tumore rilevato più di frequente è stato quello positivo al recettore degli estrogeni (ER+): il più sensibile ai fattori ormonali. Detto ciò, occorre dare la giusta interpretazione a questi dati: «Il nostro compito è quello di trovare un equilibrio tra il desiderio che ogni donna ha di preservare la qualità della vita in menopausa e il rischio di oncologico, che riguarda pure il tumore dell'endometrio - prosegue De Placido -. Sulla base dei risultati, il consiglio dovrebbe essere quello di ricorrere a una terapia che non duri comunque più di cinque anni». In genere, come ricorda la Società Italiana della Menopausa (Sim), «è buona norma ridurre il dosaggio ormonale con l’età anagrafica della donna». Altre informazioni utili riguardano il monitoraggio di una persona che segue la terapia ormonale sostitutiva, che «dovrebbe prevedere un controllo ginecologico annuale, a cui potrebbero aggiungersi alcuni esami strumentali ed ematochimici sulla base delle caratteristiche individuali», aggiunge De Placido. La Sim ricorda quelle che sono le donne per cui la terapia ormonale è controindicata: «Coloro che hanno avuto un tumore al seno o dell'endometrio (o chi mostra familiarità, ndr), un'iperplasia dell'endometrio non trattata, chi soffre di trombosi, otosclerosi, porfiria cutanea tarda e chi ha già avuto un problema coronarico o cerebrovascolare».
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«PESANO» DI PIU' I CHILI DI TROPPO
Più che all'eventuale ricorso alla terapia ormonale sostitutiva, durante la menopausa le donne dovrebbero preoccuparsi di controllare il peso corporeo. L'accumulo di grasso a livello addominale, oltre ad attenuare i benefici degli ormoni, rappresenta infatti un fattore di rischio più consistente per il tumore al seno. Ma non solo. La stessa condizione sembrerebbe essere un fattore predisponente allo sviluppo dei tumori dell'apparato digerente e del polmone. E la «Tos», in questo caso, non c'entra.
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Fonti
Fabio Di Todaro
Giornalista professionista, lavora come redattore per la Fondazione Umberto Veronesi dal 2013. Laureato all’Università Statale di Milano in scienze biologiche, con indirizzo biologia della nutrizione, è in possesso di un master in giornalismo a stampa, radiotelevisivo e multimediale (Università Cattolica). Messe alle spalle alcune esperienze radiotelevisive, attualmente collabora anche con diverse testate nazionali ed è membro dell'Unione Giornalisti Italiani Scientifici (Ugis).