Sull'Hiv c'è un gap generazionale da colmare. La Simit organizza un Master per formare e sensibilizzare i giovani specialisti
La Società italiana di Malattie infettive e tropicali (Simit) ha organizzato una Master class, una sorta di "corso di recupero" avanzato, per 31 giovani medici infettivologi di 31 ospedali diversi di diverse regioni al fine soprattutto di colmare un gap generazionale riguardo l’Hiv, precursore dell’Aids. L’intenzione è di metterli alla pari con l’esperienza dei più anziani che hanno vissuto la fase più drammatica, anche più “eroica”, della lotta a questo virus colmando una mancata trasmissione diretta del sapere che si è disperso anche nel vuoto creato dagli anni del Covid-19.
UN ERRORE BANALIZZARE L'INFEZIONE
Prima domanda "del diavolo": l’ispirazione non verrà dalla nostalgia di altri tempi dei medici più maturi? E la conseguente svalutazione dei più giovani? Risponde Massimo Andreoni, direttore scientifico Simit: «Per niente. Il fatto è che i nuovi specialisti non sono consapevoli della gravità dell'infezione. L’idea è che ormai si risolva tutto dando una pastiglia (una delle tante valide) al giorno o un’iniezione ogni due mesi. Non hanno vissuto il tempo della consapevolezza che la malattia era mortale e richiedeva un impegno da più versanti. Ma avere l’Hiv è ancora un rischio di morte benché per non molti. Il virus non viene eradicato e la terapia dura tutta la vita, per decenni, quanto è oggi l’aspettativa di vita che possiamo assicurare a chi contrae l’infezione». Banalizzazione dell'infezione da Hiv, questo il risultato del gap generazionale cui si vuol porre rimedio. Anche perché quest’idea che ormai sia tutto semplice e non pericoloso viene trasmessa ai pazienti che diventano meno motivati a essere diligenti nell’aderenza alla cura.
L'IMPATTO DELL'HIV SULLA SALUTE
Un certa consapevolezza di una carenza formativa deve albergare tuttavia anche nelle ultime generazioni di infettivologi visto che il corso - dal maggio 2023 a marzo 2024 – ha riscosso successo e molte richieste, e si sa già che verrà ripetuto l’anno prossimo. Il virus Hiv, restando nell’organismo, crea un’infiammazione cronica che può alimentare problemi cardiologici, tumori, malattie degenerative. Spiega Andreoni: «Queste persone hanno prima degli altri uno stato di immunosenescenza. Vanno perciò seguite con grande attenzione, la terapia va individualizzata, mentre tanti giovani medici ritengono che tutti i trattamenti riconosciuti siano buoni. Non è così. In noi più anziani vive la certezza che la malattia è complessa, che non potendo eradicarlo il virus continua a lavorare sotto la brace e produce tumori e malattie degenerative come detto. Abbassare la guardia è pericoloso».
IL TEST HIV A CHIUNQUE VADA AL PRONTO SOCCORSO
Nel corso, a tenere il quale sono stati chiamati i migliori ricercatori italiani, si sollecita anche ad eseguire i test per l’Hiv a chiunque si presenti al pronto soccorso. Perché? «Perché bisogna cogliere tutte le occasioni possibili per farlo. È un esame semplice e gratuito, basta un prelievo di sangue. Il fatto è che in Italia ci sono 10.000 persone con l’infezione da Hiv e non lo sanno. Dunque la malattia avanza e loro infettano i partner e le partner. Oltretutto, se la diagnosi è precoce, è più facile curare».
AUMENTANO I CASI SCOPERTI TARDIVAMENTE
Nel nostro paese più del 40 per cento dei casi vengono scoperti tardivamente ed è un problema. Nel resto d’Europa risulta che siano meno del 30 per cento. Quanto alla popolazione a rischio, in Italia oltre l'80 per cento delle nuove infezioni (1.770 nel 2021) è dovuta a rapporti sessuali non protetti, nel 40 per cento dei casi si tratta di MSM, maschi che hanno rapporti sessuali con maschi, nel 44 per cento dei casi di eterosessuali, maschi o femmine. Ancora il direttore Simit: «Quando la terapia funziona bene, il virus Hiv resta, ma non lo si trasmette più. C’è una formula internazionale: U=U che significa Undetectable=Untrasmittable, cioè che quando il virus non è più rilevabile nel sangue non è più trasmissibile. Il che è una cosa buona, ma non deve rassicurare che sia tutto a posto». Altro rischio rilevante: la resistenza ai farmaci antiretrovirali in uso per l’Hiv. «Se il paziente non è aderente alla terapia o se la terapia non è altamente efficace i virus possono replicarsi e creare resistenza alle medicine. È un grande problema perché allora il paziente può non solo trasmettere il virus, ma farlo con un virus resistente. Analogamente a come si creano le resistenze, più note, agli antibiotici».
IN ITALIA 120.000 CON L’HIV
In Italia sono circa 120.000 mila quanti hanno l’infezione da Hiv, quelli noti almeno, e per lo più sono sotto trattamento medico. I medici esperti sanno che di Hiv non si guarisce, si controlla. «La banalizzazione della malattia, e di conseguenza della cura non ben mirata e controllata, trascura il fatto che ora possiamo assicurare una sopravvivenza di decenni, ma non ancora una vita lunga quanto il resto della popolazione sana. È un obiettivo da raggiungere».
LE CURE CON I FARMACI ANTIRETROVIRALI
Non resta che chiedere a Massimo Andreoni, professore emerito di Malattie infettive all’Università Tor Vergata di Roma, quali sono oggi le ultime terapie in fatto di lotta all’Hiv. «Ci sono almeno 3-4 terapie di prima linea, tutte somministrate con un’unica compressa al giorno. Si va verso sempre più nuove cure con una puntura (fatta solo in ospedale) ogni due mesi o, più in là, una compressa una volta alla settimana oppure ogni 2-3 mesi. Tutti i farmaci sono antiretrovirali e sono più di 20, che vanno miscelati diversamente». E sapientemente.
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Fonti
Serena Zoli
Giornalista professionista, per 30 anni al Corriere della Sera, autrice del libro “E liberaci dal male oscuro - Che cos’è la depressione e come se ne esce”.