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Oncologia
Caterina Fazion
pubblicato il 29-10-2024

Tumore al seno: crioconservare gli ovociti oggi tutela la libertà di domani



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Crioconservare gli ovociti dopo una diagnosi di tumore: non un "obbligo a diventare madre", ma la possibilità di avere una scelta in futuro. Questa è la storia di L.

Tumore al seno: crioconservare gli ovociti oggi tutela la libertà di domani

Nella vita ci sono momenti difficili, ma è comunque possibile prendere decisioni che tutelano la nostra libertà futura. La storia di L. ne è un esempio: dopo una diagnosi di tumore al seno e un'iniziale incertezza, ha scelto di crioconservare i suoi ovociti. Questa decisione le ha restituito serenità, libertà e, soprattutto, un senso di normalità.

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LA SCOPERTA DEL TUMORE

«Quando ho scoperto di avere un tumore al seno avevo solo 31 anni. Fino ad allora non mi ero mai sottoposta a mammografia o ecografia. Fortunatamente, avevo l'abitudine di fare l'autopalpazione, grazie alla quale sono riuscita a individuare un nodulo che, solo un mese prima, non c’era. Da quel momento è iniziato tutto: la diagnosi è arrivata in tempi brevissimi, rivelando un carcinoma mammario duttale infiltrante, per fortuna di dimensioni molto ridotte. Ho dovuto affrontare un intervento chirurgico, radioterapia e cure ormonali, che non sono ancora terminate».

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COME HO AFFRONTATO LA DIAGNOSI

«Sento spesso usare la metafora della battaglia per descrivere il tumore, visto come un nemico da combattere. Credo però che ognuno dovrebbe essere libero di affrontare la malattia a modo proprio. Per alcune, considerare il tumore al seno come una sfida da vincere può risultare utile; per altre, invece, può generare disagio, creando una pressione che nulla ha a che fare con la forza di volontà. Frasi come “perdere la battaglia” o “la malattia ha vinto”, infatti, suggeriscono, anche se involontariamente, un'idea di fallimento della paziente, come se non avesse lottato abbastanza.

Io non ho mai percepito il tumore come un nemico da combattere, piuttosto come uno scontro con uno sconosciuto per strada, che ti fa perdere l’equilibro per un momento, ma subito dopo riprendi a camminare. Questo è quello che ho fatto io. Dopo un iniziale momento di negazione dove mi sono chiesta perché stesse succedendo proprio a me, così attenta al mio stile di vita, ho affrontato la diagnosi e la malattia in maniera molto operativa. E così anche i miei amici e la mia famiglia: cosa bisogna fare per risolvere?

Ricordo però che spesso, anche se per brevi periodi di tempo, ricercavo la solitudine. Avevo molta paura di vedere il dolore nelle persone che mi stavano accanto. Si era creato un gioco di specchi: vedendo la sofferenza e la paura negli altri, anche la mia veniva risvegliata, e volevo evitarlo».

 

CRIOCONSERVARE: SI O NO?

«Dopo la diagnosi, una volta arrivata alla Breast Unit che mi ha preso in carico, sono stata immediatamente messa in contatto con la struttura di Procreazione Medicalmente Assistita, dove mi è stata proposta e consigliata la possibilità di crioconservare gli ovociti. Ero già consapevole del significato di questa opzione, avendone parlato in precedenza con le mie amiche nel contesto del social freezing, ovvero la possibilità di preservare la fertilità non per motivi medici, ma personali, ampliando così la finestra temporale per una futura gravidanza. Tuttavia, nel mio caso, capivo chiaramente che questa scelta mi veniva suggerita poiché le terapie a cui sarei stata sottoposta avrebbero compromesso la mia fertilità. Anche se il ragionamento era logico, mi trovavo in difficoltà a capire perché dovessi affrontare quella decisione. In quel momento non avevo lo spazio mentale e la lucidità necessaria, anche perché all’epoca di figli non ne volevo. Le persone a me vicine mi hanno fatto notare che, se avessi deciso di crioconservare gli ovociti, in futuro avrei potuto scegliere se avere figli o meno, senza subire passivamente e impotentemente le conseguenze della malattia. Dopo un paio di giorni ho accettato di procedere con la crioconservazione».

 

UNA SCELTA DI LIBERTÀ

«La malattia ti cambia profondamente ed è impossibile da cancellare. Rimane incisa dentro di te, lasciando una nuova patina sulla propria persona e trasformando anche la visione della vita e del futuro. Io ad esempio mi sento molto cambiata: dopo aver incontrato, seppure da lontano, la possibilità della morte, sono portata oggi a lasciare andare il superfluo, molto più di prima. La decisione di crioconservare gli ovociti, però, mi ha restituito in parte un senso di normalità, come se la malattia non mi avesse tolto il potere di scegliere il mio futuro. Adesso so di avere un’opzione reale e libera di decidere se provare a diventare madre nei prossimi anni, quando e se lo vorrò. Questo mi fa sentire come chiunque altro, come se la malattia non mi avesse segnato in modo irreparabile, almeno su questo aspetto della mia vita. A chi si trova a considerare la crioconservazione dopo una diagnosi simile alla mia, consiglio di ascoltarsi e di lasciarsi supportare dai medici, ma soprattutto dalle persone care che ci stanno accanto. Nei momenti di sconforto, infatti, è facile cadere nella negazione e rifugiarsi nel rifiuto di qualunque opzione per non appesantire ulteriormente la situazione, già molto complessa, emotivamente e fisicamente. Non dimentichiamo che questa scelta può restituire una possibilità che, se non presa per tempo e con lungimiranza, potrebbe svanire irrimediabilmente».

 

UNA FORTUNA DA CONDIVIDERE

«Nei mesi successivi all’operazione di asportazione del tumore ho iniziato a comprendere la mia fortuna: grazie all’autopalpazione, ho individuato il cancro in fase molto precoce. Tra le mie amiche, ero l’unica a praticarla, e mi sono resa conto che molte giovani, non ancora entrate nel mondo degli screening, avrebbero potuto beneficiare di questa conoscenza. Per restituire un po’ della mia fortuna, ho deciso così di avviare un’attività di sensibilizzazione, creando materiale informativo per educare le generazioni più giovani sulla pratica dell’autopalpazione, spiegandola passo dopo passo».

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Caterina Fazion

Giornalista pubblicista, laureata in Biologia con specializzazione in Nutrizione Umana. Ha frequentato il Master in Comunicazione della Scienza alla Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati (SISSA) di Trieste e il Master in Giornalismo al Corriere della Sera. Scrive di medicina e salute, specialmente in ambito materno-infantile


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