Uno studio condotto dall’Istituto Superiore di Sanità rileva che solo lo 0,1% delle donne incinte beve in modo sensibile. L’8,2%, seppur in quantità modeste, consuma comunque bevande alcoliche
Sono sempre meno le donne che consumano alcolici durante i nove mesi di gravidanza. A rivelarlo sono i dati preliminari presentati nel corso del workshop “Prevenzione, diagnosi precoce e trattamento mirato dello Spettro dei Disturbi Feto Alcolici e della Sindrome Feto Alcolica”. Le informazioni sono state raccolte dal Centro Nazionale Dipendenze e Doping dell’Istituto Superiore di Sanità che ha condotto uno studio per valutare il consumo gestazionale di alcol e l'esposizione fetale. Grazie al consumo limitato di alcol, le mamme proteggono il feto, e successivamente il bambino, da molteplici danni. Parliamo, ad esempio, di aborto spontaneo, morte alla nascita, morte improvvisa in culla, parto pretermine, malformazioni congenite, basso peso alla nascita e una serie di disordini racchiusi dal termine Spettro dei disordini feto-alcolici (FASD) a partire dalla manifestazione più grave, la Sindrome Feto-Alcolica (FAS). Si tratta di una serie di anomalie strutturali e di sviluppo neurologico che comportano gravi disabilità comportamentali e neuro-cognitive. Per evitare con certezza la Sindrome Feto Alcolica e, più in generale, qualunque disordine feto-alcolico, è sufficiente seguire un'unica regola: non bere alcol in gravidanza, in nessuna quantità.
LO STUDIO
Nel progetto, per ogni città coinvolta, sono stati arruolati in media venti gestanti e venti neonati, provenienti da ospedali del Sistema Sanitario Nazionale dislocati nel Nord, Centro e Sud Italia, isole comprese. I due gruppi, gestanti e neonati, non avevano legami di alcun tipo: le donne non erano le mamme dei bambini coinvolti nello studio. «Abbiamo misurato uno dei metaboliti più specifici dell'alcol etilico, l'etilglucuronide (EtG) – riferisce Simona Pichini dell’ISS, coordinatore del progetto - nei capelli materni e nel meconio neonatale (le prime feci del neonato, ndr). I risultati preliminari, ottenuti in coorti separate di madri e neonati hanno mostrato che, attualmente, una quantità trascurabile di donne italiane, lo 0,1%, beve in modo sensibile durante la gravidanza e che solo una piccola percentuale di neonati è esposta all'alcol prenatale». L’88% delle donne coinvolte sono italiane, con età media 34 anni. Nel 69% dei casi si tratta di donne occupate, con un livello di istruzione medio-alto: il 44% ha un titolo universitario e il 39% ha un diploma superiore.
COSA È EMERSO
In totale, finora, sono stati analizzati 781 campioni di capelli materni e 642 campioni di meconio, raccolti entro le prime 24 ore dopo la nascita. Solo una donna su 781 (0,1%) ha presentato un consumo molto elevato di etanolo cronico con alte concentrazione del metabolita EtG (>?30 pg/mg). L’'8,2% dei campioni materni, invece, ha presentato concentrazioni di EtG >5 pg/mg, con l’1,4% >11 pg/mg, indice di un consumo moderato, ma comunque presente. Quattro neonati (0,6%) sono risultati esposti prenatalmente all'etanolo con elevate concentrazione di EtG (>30 ng/g).
RISCHI DELL’ALCOL IN GRAVIDANZA
«L'uso di alcol durante la gravidanza e la successiva esposizione fetale può causare molteplici disturbi perinatali – conclude Simona Pichini – come la nascita prematura, sindromi da astinenza, tremori, iperreflessia e uno sviluppo fisico e mentale alterato nelle fasi successive della vita. Tuttavia, i dati odierni ci dimostrano che le politiche applicate dalla salute hanno accresciuto nelle donne italiane la consapevolezza sui rischi associati al consumo di alcol durante la gravidanza».
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Caterina Fazion
Giornalista pubblicista, laureata in Biologia con specializzazione in Nutrizione Umana. Ha frequentato il Master in Comunicazione della Scienza alla Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati (SISSA) di Trieste e il Master in Giornalismo al Corriere della Sera. Scrive di medicina e salute, specialmente in ambito materno-infantile