A partire dal secondo trimestre di gravidanza, tutte le donne hanno un rischio più alto di formare calcoli renali. La prevenzione: dal controllo del peso alla dieta
Un dolore al fianco che non passa. Le preoccupazioni che si addensano. Poi, la diagnosi: nefrolitiasi. Nelle donne in gravidanza, i sintomi di una colica renale finiscono spesso per incutere il timore di una complicanza legata alla gestazione. Ipotesi che, fortunatamente, nella maggior parte dei casi viene smontata già in pronto soccorso. La formazione dei calcoli rappresenta infatti la prima causa di accesso alle strutture ospedaliere delle donne incinte, al di fuori di quelle che sono le problematiche ostetriche. Si tratta dunque di un evento piuttosto comune, come molte donne si sono sentite dire nell’arco dei nove mesi dal proprio ginecologo. Ma perché anche chi non ha mai sofferto di calcoli renali - anche se sarebbe meglio dire chi non ha mai avuto una colica, visto che in assenza di sintomi una donna potrebbe non essere al corrente della presenza di calcoli nelle vie urinarie - potrebbe trovarsi a fare i conti con questo fastidioso problema proprio durante la gravidanza? La causa sarebbe da ricercare in un mix di cambiamenti fisiologici e anatomici a livello dell’apparato urogenitale femminile.
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A fare chiarezza a riguardo è uno studio condotto dai ricercatori della Mayo Clinic (Rochester) e pubblicato pubblicato sull’American Journal of Kidney Diseases. Gli autori sono partiti da un assunto, documentato dai numeri: rispetto alle coetanee non in dolce attesa, le donne in gravidanza hanno un rischio più alto di sviluppare i sintomi dovuti alla presenza di uno o più calcoli nelle vie urinarie. Ipotesi consolidata nella pratica clinica e documentata in questo lavoro, attraverso il confronto tra 945 gestanti e 1.890 donne inserite nel gruppo di controllo. Registrando quanto accaduto nel corso dei mesi, i nefrologi statunitensi hanno avuto la conferma che la dolce attesa è accompagnata da una maggiore probabilità di vedere formarsi calcoli renali nelle vie urinarie: anche delle donne che non ne avevano mai sofferto prima. Il rischio è risultato crescere nel secondo e nel terzo trimestre di gravidanza. Ma non solo. Un maggior numero di diagnosi è stato effettuato tra le neomamme anche nel primo anno successivo al parto. Segno, per dirla con il nefrologo Andrew Rule, esperto di epidemiologia delle malattie renali della Mayo Clinic, «che alcuni calcoli possono formarsi durante la gravidanza, ma non dare sintomi e rimanere all’interno delle vie urinarie senza che né la donna né il ginecologo se ne accorga». Sintomi che, invece, possono venire alla luce durante un arco di tempo più lungo.
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OPPORTUNITÀ DI TRATTAMENTO LIMITATE IN GRAVIDANZA
Un quadro tutt’altro che infrequente, che può essere reso possibile dall’assenza delle classiche manifestazioni del problema (dolore acuto al fianco e alla schiena, tracce di sangue nelle urine, nausea e vomito, sudore, pallore, bisogno di urinare con frequenza), più probabile per almeno due cause (maggiore stasi delle urine in vescica e più frequente formazione di calcoli di fosfato di calcio) e con possibilità di diagnosi e cura limitate nel corso della gravidanza. Se non ci sono problemi a sottoporre una donna a un’ecografia, viene invece quasi sempre escluso il ricorso alla TAC, necessaria però come esame diagnostico di secondo livello. Quanto al trattamento, le limitazioni derivano dall'inopportunità di utilizzare i raggi X (utili a indirizzare il trattamento nel punto in cui è presente il calcolo) e dal rischio di alcune complicanze ostetriche. «Solitamente, se il problema emerge durante una gravidanza, si cerca di gestirlo correggendo lo stile di vita della paziente e rimandando il trattamento dopo il parto», afferma Piergiorgio Messa, direttore dell'unità operativa complessa di nefrologia, dialisi e trapianto renale del Policlinico di Milano. Soltanto in casi estremi, a fronte del rischio di una ostruzione delle vie urinarie, si può inserire uno stent tra il rene e la vescica o fare in modo che le urine sbocchino all’esterno direttamente attraverso il rene, con una procedura di nefrostomia. Limitata risulta pure l'efficacia dei farmaci (alfalitici e calcio antagonisti) utilizzati nel corso di una colica per gestire il dolore.
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CALCOLI RENALI IN GRAVIDANZA: LE POSSIBILI CONSEGUENZE
Avere la consapevolezza che una donna in gravidanza può essere più portata alla formazione dei calcoli renali è il primo passo per avviare uno screening (su base individuale) da parte del ginecologo. Per prima cosa, va valutata l’anamnesi: registrando gli eventuali precedenti già manifestatisi nella vita della futura mamma. In tutti gli altri casi, occorre sensibilizzare comunque la gestante a non sottovalutare quelle che possono essere le possibili spie di una colica renale. Sebbene non comuni, i calcoli renali possono causare complicanze che vanno dall’aumento della pressione sanguigna in gravidanza alla rottura delle membrane che avvolgono il feto, dal parto pretermine fino all’aborto. «Alla luce di questi possibili conseguenze, è opportuno seguire con più attenzione soprattutto le donne con una storia di nefrolitiasi o che presentano alcuni fattori di rischio quali l’obesità, il diabete di tipo 2, l’ipertensione, la gotta, una storia di infezioni delle vie urinarie e un’alimentazione scorretta - aggiunge Messa -. In tutti questi casi sottoporsi a un'ecografia renale nel momento in cui si pianifica una gravidanza può essere una scelta opportuna». Procedura a cui eventualmente sottoporsi anche una seconda volta, nel caso in cui il primo esame avesse individuato un calcolo rimasto poi «nascosto» nelle vie urinarie per l'intera durata della gestazione.
COME PREVENIRE LA FORMAZIONE DEI CALCOLI RENALI?
La possibilità che a formare calcoli renali siano anche donne che non ne hanno mai sofferto prima spinge a parlare anche di prevenzione. «Descrivendo i fattori di rischio, abbiamo di fatto anticipato anche quelli che sono i comportamenti da caldeggiare nel corso della gravidanza - prosegue lo specialista, che è anche professore ordinario all’Università di Milano e presidente della Società Italiana di Nefrologia -. Quanto all'alimentazione, oltre a seguire una dieta varia ed equilibrata, soprattutto le donne più esposte all'eventualità di formare calcoli renali dovrebbero moderare l'apporto di alimenti ricchi di vitamina D per evitare che l'assorbimento di calcio risulti eccessivo».
Fonti
Fabio Di Todaro
Giornalista professionista, lavora come redattore per la Fondazione Umberto Veronesi dal 2013. Laureato all’Università Statale di Milano in scienze biologiche, con indirizzo biologia della nutrizione, è in possesso di un master in giornalismo a stampa, radiotelevisivo e multimediale (Università Cattolica). Messe alle spalle alcune esperienze radiotelevisive, attualmente collabora anche con diverse testate nazionali ed è membro dell'Unione Giornalisti Italiani Scientifici (Ugis).