Le infezioni urinarie sono fra le più diffuse. In Italia la metà dei batteri è resistente ai fluorochinoloni, gli antibiotici più usati nel trattamento delle cistiti
Soprattutto durante l'inverno, si pensa prima alle infezioni delle vie respiratorie. Ma in realtà il problema della resistenza agli antibiotici chiama in causa pressoché in egual misura le infezioni urinarie, come le cisiti.
E, di conseguenza, gli urologi. La mancata risposta a questi farmaci è un'urgenza di sanità pubblica a livello mondiale.
E l'Italia non fa eccezione, se in Europa soltanto la Grecia fa registrare un uso maggiore degli antibiotici: questo è lo scenario descritto dal Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (Ecdc) alla fine dello scorso anno.
Come provare a invertire la rotta? Evitando le prescrizioni inutili, per prima cosa.
L'EMERGENZA NELLE UROLOGIE ITALIANE
Il «j'accuse», dunque, giunge dagli stessi specialisti. Gli urologi operano quasi sempre in ambito chirurgico. L'utilizzo di cateteri e drenaggi, oltre al ricorso a procedure invasive come la cistoscopia, deve essere sempre accompagnato dalla copertura antibiotica.
Di conseguenza, quando questa viene meno, i rischi per il paziente aumentano. Da qui l'allarme lanciato da Vincenzo Mirone, ordinario di urologia all'Università Federico II di Napoli e segretario generale della Società Italiana di Urologia. «Nei nostri reparti i decessi per setticemia sono in aumento e il problema della mancata risposta agli antibiotici sta diventando una delle nostre maggiori preoccupazioni».
Considerazioni a cui fanno eco quelle di Tommaso Cai, urologo all'ospedale Santa Chiara di Trento. «Sono diversi gli errori comuni nei nostri reparti, in cui si vedono pazienti che assumono antibiotici per il solo fatto che portano il catetere.
O che risultano in trattamento per la presenza di batteri nelle urine, ma senza alcun sintomo: situazione che non richiede alcun trattamento, visto che siamo ormai sicuri del rischio di determinare un'infezione più grave nel momento in cui si utilizza un antibiotico quando non si dovrebbe.
Infine l’antibiotico viene dato spesso anche a pazienti con colica renale che non necessitano di questo tipo di terapia, ma ai quali viene prescritto in maniera preventiva».
Quando è giusto parlare di cistite?
GLI ANTIBIOTICI IN UROLOGIA
Otto pazienti su dieci tra coloro che sono ricoverati nei reparti di urologia risultano in trattamento antibiotico, ma spesso in maniera inopportuna o comunque errata. Cistiti, uretriti, infiammazioni croniche della prostata, pielonefriti sono alcune delle infezioni urinarie per le quali il medico può valutare la prescrizione di un antibiotico. Ma, secondo i dati diffusi in occasione del congresso della Società Italiana di Urologia, in circa il 40 per cento delle cistiti c’è un uso inappropriato di antibiotici. Un errore marchiano, dal momento che «la cistite è un sintomo di fronte al quale l'urologo ha il compito di individuare la causa, che nella maggior parte dei casi va rilevata a livello intestinale - avverte Giuseppe Morgia, direttore della clinica urologica del policlinio universitario di Catania -. Se si va più a fondo, si scopre che la donna nei giorni precedenti ai sintomi spesso risulta aver avuto delle scariche di diarrea. E i batteri responsabili della gastroenterite possono raggiungere le vie urinarie sia attraverso l'ano sia per via linfatica».
EVITARE IL FAI DA TE
Un altro problema è dato dalla frequente mancata consultazione di uno specialista. Le infezioni urologiche trattate a domicilio risultano infatti «spesso sottovalutate e trattate autonomamente dal paziente - conferma Mirone -. L’autoprescrizione non è stimabile, ma comunque molto diffusa: sopratutto qundo le cistiti sono recidivanti e le donne pensano di trattarle ricorrendo allo stesso farmaco prescritto dal medico la prima volta».
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SE GLI ANTIBIOTICI SONO «SPUNTATI»
Sono principalmente quattro le classi di antibiotici che trovano impiego in urologia: i beta-lattamici (penicilline, cefalosporine e carbapenemi), i fluorochinolonici (ciprofloxacina), gli aminoglicosidi (come la gentamicina), le tetracicline e la fosfomicina. Molti di questi, nel tempo, hanno perso la capacità di colpire e vincere le infezioni. E all'orizzonte non ce ne sono di nuovi, come riferito pochi giorni fa anche dall'Organizzazione Mondiale della Sanità. Basti pensare che il 65 per cento dei ceppi di Pseudomonas aeruginosa - il batterio responsabile della maggior parte delle infezioni ospedaliere, tra cui quelle urologiche - sono resistenti anche ai fluorochinolonici, quelli impiegati con maggiore frequenza. In Italia la percentuale di resistenza a questa classe oscilla tra il 25 e il 50 per cento. Anche i carbapenemi, considerati spesso l’ultima risorsa disponibile per il trattamento di alcune infezioni provocate da batteri gram-negativi, sono minacciati dalla nascita e dalla diffusione di nuovi meccanismi di resistenza. In aumento è considerata anche la resistenza di Escherichia coli, il batterio che causa molte delle infezioni urologiche, nei confronti di antibiotici ad ampio spettro come le cefalosporine di terza generazione.
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I PASSI DA COMPIERE
Ma cosa prescrivere al posto di un antibiotico? Secondo uno studio pubblicato sul British Medical Journal, l’utilizzo di antibiotici può esser evitato anche ricorrendo alla somministrazione di antidolorifici. Nella ricerca in questione, gli studiosi dell'Università tedesca di Gottingen hanno osservato che, dopo un monitoraggio di quattro settimane, solo un terzo delle donne con infezioni delle vie urinarie aveva avuto la necessità di utilizzare antibiotici specifici. «Il sistema immunitario è già in grado di debellare da solo le infezioni delle basse vie urinarie», aggiunge Roberto Carone, direttore del reparto di neurourologia dell’azienda ospedaliero-universitaria Città della Salute di Torino. Per combattere l’antibioticoresistenza, resta fondamentale che il paziente eviti il fai-da-te. «Di fronte a una cistite batterica, semplice o complicata, è importante il riconoscimento del germe ed è fondamentale utilizzare l’antibiotico giusto: per il tempo adeguato e a una concentrazione opportuna».
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Fonti
Fabio Di Todaro
Giornalista professionista, lavora come redattore per la Fondazione Umberto Veronesi dal 2013. Laureato all’Università Statale di Milano in scienze biologiche, con indirizzo biologia della nutrizione, è in possesso di un master in giornalismo a stampa, radiotelevisivo e multimediale (Università Cattolica). Messe alle spalle alcune esperienze radiotelevisive, attualmente collabora anche con diverse testate nazionali ed è membro dell'Unione Giornalisti Italiani Scientifici (Ugis).