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Fabio Di Todaro
pubblicato il 18-03-2021

Covid-19: le reinfezioni sono rare, ma più frequenti tra gli over 65



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Secondo uno studio danese, 8 persone su 10 che hanno avuto Covid-19 sono protette per sei mesi in caso di reinfezione da Sars-CoV-2. Ma la percentuale si dimezza negli anziani

Covid-19: le reinfezioni sono rare, ma più frequenti tra gli over 65

Una volta contagiati da Sars-CoV-2, al di là dei sintomi della Covid-19 sviluppati, quali sono le probabilità di reinfettarsi nei mesi successivi? A questa domanda, finora, sono state date risposte provvisorie (in ragione del poco tempo trascorso). Servirà accumulare dati consistenti, prima di tirare le somme. Oggi però un primo passo, in questo senso, è stato compiuto. Il rischio, se si guarda ai 6-7 mesi che seguono l'infezione, è piuttosto basso. A confermarlo uno studio danese, i cui risultati sono stati pubblicati sulla rivista The LancetGiovani e adulti possono considerarsi abbastanza al sicuro, che non vuol dire poter abbandonare la triade dei comportamenti mirati alla prevenzione del contagio (igiene delle mani, distanziamento socialeuso delle mascherine). Meno invece gli anziani, in cui il grado di protezione garantito dal precedente contatto con il virus è sensibilmente più basso.

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COVID-19: ADULTI PROTETTI IN 8 CASI SU 10 DALLE REINFEZIONI

Attingendo ai dati raccolti nell’ambito della campagna nazionale di screening con tampone molecolare che ha permesso di testare più di due terzi della popolazione, i ricercatori dello Statens Serum Institut di Copenaghen hanno verificato quanti degli oltre undicimila connazionali contagiatisi nel corso della prima ondata (marzo-maggio 2020) abbia nuovamente contratto l'infezione nell'ultimo trimestre dello scorso anno. Appena 72 le reinfezioni, per un tasso pari allo 0.65 per cento. Un dato che ha portato i ricercatori a stimare una protezione dell'80 per cento per le persone che hanno dovuto fare i conti con la Covid-19 nei 6-7 mesi precedenti. Ciò equivale a dire che, immaginando che dieci persone già ammalatesi entrino nuovamente a contatto con il coronavirus, a sviluppare una seconda infezione sarebbero (mediamente) in due. Il dato è in linea con quello emerso da altri studi, condotti però su campioni ridotti di persone in Gran Bretagna, Qatar e Stati Uniti, che avevano stimato un rischio di poco inferiore all'uno per cento.

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MA GLI ANZIANI SONO MENO PROTETTI

Approfondendo l'analisi in uno specifico sottogruppo di popolazione, quella rappresentata dagli ultra 65enni, la protezione indotta dall'infezione è apparsa però inferiore. In media, infatti, meno di 1 persona su 2 (47 per cento) è risultata protetta dal rischio di un nuovo contagio durante la seconda ondata. «Segno che gli anziani sono più esposti al rischio di una reinfezione rispetto ai giovani e alle persone di mezza età, in buona salute», spiega Steen Ethelberg, a capo del dipartimento di epidemiologia e controllo delle infezioni zoonotiche dello Statens Serum Institut. Un dato spiegabile ricorrendo all'immunosenescenza, il processo che porta il sistema immunitario a diventare meno «vigile» al cospetto delle infezioni con il passare degli anni. «Considerando che si tratta delle persone più fragili al cospetto della malattia, i nostri dati confermano l'importanza di rispettare le misure per la prevenzione del contagio anche se si è già entrati in contatto con Sars-CoV-2», aggiunge Ethelberg. 

GLI ASPETTI ANCORA DA CHIARIRE

Un sufficiente grado di protezione sembra dunque permanere per 6-7 mesi dopo l'infezione. Quanto altro tempo ancora - eventualmente - duri l'immunità lo si potrà definire soltanto nei prossimi mesi. Nel caso del virus responsabile della Mers, un calo degli anticorpi fu registrato a partire da cinque mesi dopo l'infezione: tendente verso lo zero nell'arco di tre anni. A ciò occorre aggiungere però che la protezione non è conferita soltanto dagli anticorpi, ma anche dalle cellule della memoria: in grado di sopravvivere nel nostro organismo per tutta la vita e di innescare una risposta immunitaria ogni qual volta si ripresenti un patogeno con cui siamo già entrati a contatto. Infine, lo studio ha considerato una quota di contagi non ascrivibili alle varianti diffusesi in Europa negli ultimi mesi. «Non sappiamo se una precedente infezione protegga dalle nuove forme del virus - è quanto messo nero su bianco dai ricercatori -. C'è comunque il rischio che, nei loro confronti, il margine di protezione possa essere ridotto».

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Cruciale, per prevenire nuovi contagi tra gli anziani, è dunque la campagna vaccinale. «Qualora ce ne fosse ancora bisogno, questi dati confermano l'impossibilità di raggiungere un'immunità di gregge attraverso la diffusione del contagio - è quanto scritto in un commento pubblicato da due docenti dell'Imperial College di Londra: l'infettivologa Rosemary Boyton e l'immunologo Daniel Altmann -. L'unica soluzione duratura è rappresentata dalla vaccinazione di massa, che deve coinvolgere anche chi ha già superato l'infezione: a partire dagli anziani». In questo caso, ovvero se si è stati contagiati da Sars-CoV-2 in un periodo compreso tra 3 e 6 mesi prima, in Italia è prevista la somministrazione di una sola dose di vaccino.


Fabio Di Todaro
Fabio Di Todaro

Giornalista professionista, lavora come redattore per la Fondazione Umberto Veronesi dal 2013. Laureato all’Università Statale di Milano in scienze biologiche, con indirizzo biologia della nutrizione, è in possesso di un master in giornalismo a stampa, radiotelevisivo e multimediale (Università Cattolica). Messe alle spalle alcune esperienze radiotelevisive, attualmente collabora anche con diverse testate nazionali ed è membro dell'Unione Giornalisti Italiani Scientifici (Ugis).


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