Il 20% dei casi di secondo infarto sono legati agli stili di vita. Dalla Società Europea di Cardiologia un monito agli infartuati che trascurano dieta, esercizio, fumo e terapie farmacologiche
Un infarto potrebbe essere evitato nell’80% dei casi. Così come il secondo che occorre, di norma a distanza di un anno dal primo evento, in 1 paziente su 5. Attuando le stesse modalità preventive in entrambi i casi: conducendo una vita senza rischi, niente fumo, regolare attività fisica e mangiare sano. Abitudini ignorate invece da sani e infartuati che, in 1 caso su 2, arrivano anche a trascurare la terapia salvavita, esponendo così scientemente il cuore a elevate probabilità di nuovi eventi cardiovascolari. Dati preoccupanti che hanno indotto la Società Europea di Cardiologia a un monito educazionale e preventivo, pubblicato sull’European Journal of Preventive Cardiology, utile a ridurre il rischio di secondo infarto. Prevenibile, anzi evitabile.
L'infarto si può prevenire in 4 casi su 5
CUORE MALTRATTATO
Del cuore non ci si occupa o almeno non a sufficienza. A parlare sono le stime più recenti: sette milioni di infarti ogni anno nel mondo, dieci per cento mortali, cui si aggiunge un venti per cento di secondi infarti dopo circa un anno dal primo, i quali nella metà dei casi occorrono in pazienti già sofferenti di cardiopatia ischemica. Evento che, ad oggi, rappresenta, una delle principali cause di decesso, anche in Italia. Eppure il trend di infarti primari e secondari, che si prospetta in crescita, potrebbe essere rallentato con una corretta prevenzione, fondata su quattro regole raccomandate dalla Società Europea di Cardiologia in un documento ad hoc: smettere di fumare, in primis, fare attività fisica regolare, seguire una dieta sana e, laddove indicato, assumere la terapia farmacologica in maniera rigorosa.
INFARTO DEL MIOCARDIO: MEGLIO L'ANGIOPLASTICA O IL BYPASS?
GLI INFARTUATI E IL LORO CUORE DA PROTEGGERE
Comportamenti invece trascurati o sottovalutati, non soltanto prima ma anche dopo un evento cardiovascolare. Come riferiscono i dati dell’ultimo studio Eurospire da cui emerge che il 16 per cento degli infartuati continua a fumare anche con il cuore a rischio, che il 38 per cento è in sovrappeso e il 60 per cento non fa movimento. «Da cui il rischio per un paziente su cinque - dichiara Massimo Piepoli del dipartimento di cardiologia Ospedale Guglielmo da Saliceto di Piacenza e primo autore degli standard pubblicati - di trovarsi dopo un anno di nuovo faccia a faccia con un altro infarto, anche nel caso in cui sia in terapia farmacologica». Riguardo a quest’ultima esisterebbe un problema di aderenza alla cura: un paziente su due infatti non seguirebbe correttamente o abbandonerebbe la terapia per la cardiopatia ischemica, ovvero i farmaci di prevenzione secondaria necessari a evitare quanto più possibile un secondo infarto, e/o quelli per tenere sotto controllo alcuni importanti fattori di rischio quali colesterolo e ipertensione. O ancora gran parte dei pazienti non si sottoporrebbe a un regolare follow-up.
Dopo un infarto per il colesterolo vale «la regola del 70»
DOVE STA IL GAP?
All’origine, dicono gli esperti. E non riguarderebbe soltanto una comunicazione poco incisiva sull’importanza della prevenzione primaria, ma interesserebbe in maniera più significativa la prevenzione secondaria. Non tenuta nella debita considerazione. «Essa - dicono gli esperti - dovrebbe cominciare già in ospedale, assicurando la stessa priorità e attenzione data al trattamento per il primo infarto. Ovvero mettendo a calendario per ciascun paziente una terapia farmacologica, compreso terapie per il controllo dei fattori di rischio (colesterolo e pressione alta) e programmi di riabilitazione cardiaca, a cui invece sono avviati solo metà dei pazienti, e cui partecipa efficacemente solo l’80 per cento degli infartuati»
A queste indicazioni cliniche, devono aggiungersi anche la messa in atto di regole e raccomandazioni di viver sano, non meno importanti nell’approccio preventivo (primario e secondario) cardiovascolare, e la rigorosa aderenza alla terapia, anche nel caso in cui richieda l’assunzione di due o più farmaci, stante il fatto di plausibili comorbidità presenti. «E’ solo grazie a questo processo di corretta comunicazione e informazione nonché di supporto e obiettivi condividi fra medico e paziente - concludono gli esperti - che questi ultimi potranno assumere un ruolo centrale nel processo di guarigione e nella prevenzione di un secondo evento». Limitando anche il rischio che le malattie cardiovascolari, infarto compreso, diventino sempre più un problema di salute pubblica.