Ogni anno quasi 9 milioni di persone nel mondo morirebbero a causa dell'aria inquinata. Oltre un anno di vita in più se si rinunciasse ai combustibili fossili
Al di là del Coronavirus, c’è un’altra pandemia che in queste settimane si nota meno, ma che nel tempo macina numeri di grande impatto. È l’inquinamento atmosferico, che ogni anno riduce l’aspettativa di vita più di quanto non facciano, singolarmente, altre cause frequenti di morte: dalle guerre alle malattie cardiovascolari, dal fumo all’Aids. Prendendo come esempio il 2015, l’aria inquinata sarebbe stata responsabile di quasi 9 milioni di decessi e di una riduzione media - su scala globale - di tre anni della prospettiva di vita. Una strage silenziosa, dai contorni ai più non del tutto noti.
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OGNI ANNO OLTRE 5 MILIONI DI MORTI EVITABILI
A confermare l’impatto dell’inquinamento sulla salute è uno studio condotto da un gruppo di ricercatori tedeschi, sotto l’egida del direttore del dipartimento di cardiologia dell’Università di Magonza, Thomas Munzel. Gli studiosi hanno inserito in un modello matematico i dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (tassi e cause di mortalità per area, densità di popolazione, età, luogo di residenza) e le stime relative ai processi atmosferici che coinvolgono le sostanze sprigionate durante la produzione di energia, dal traffico o nel corso di attività agricole o industriali. In questo modo è stato possibile stimare la quota di decessi dovuti all’inquinamento: all'incirca 120 ogni 100mila abitanti. Questo il dato medio, che risulta superato però tanto in Asia (196 su 100mila) quanto in Europa (133 su 100mila abitanti). «Il lavoro dimostra che circa due terzi dei decessi prematuri sono attribuibili all’inquinamento atmosferico provocato dai combustibili fossili: comune denominatore delle fonti inquinanti esaminate», ha spiegato Munzel, coordinatore dello studio apparso sulle colonne della rivista Cardiovascular Research. Nel complesso, si parla di 5.5 milioni di morti potenzialmente evitabili su scala globale. «Senza la combustione di gas, petrolio e carbone, l’aspettativa di vita media di ogni individuo aumenterebbe di oltre anno», ha aggiunto l'esperto.
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DIVERSE LE CAUSE
Sei le categorie di patologie per le quali è stato valutato l’impatto dell’inquinamento: le infezioni respiratorie, la broncopneumopatia cronica ostruttiva (Bpco), il tumore del polmone, le malattie cardio e cerebrovascolari e un insieme di altre condizioni croniche (ipertensione, diabete). È sull’incidenza e il decorso di queste condizioni che si osserva maggiormente l’effetto dell’inquinamento. Senza trascurare che si parla di alcune tra le principali cause di morte, soprattutto nei Paesi occidentali. A pagare il prezzo più sono soprattutto gli anziani: nel 2015 3 decessi su 4 dovuti all’inquinamento sono stati registrati tra gli over 60. In Africa (dove l’inquinamento è considerato una minaccia per la salute alla pari dell’Aids e della malaria) e in Asia meridionale, invece, la maggiore riduzione della prospettiva di vita si osserva sui bambini. Secondo i ricercatori, le maggiori responsabilità sono da ascrivere al PM 2.5. In questa categoria rientrano molecole di origine naturale (erosione del suolo, incendi, dispersioni di pollini) e composti che originano dai processi di combustione e dal traffico veicolare.
LA SITUAZIONE IN EUROPA
Lo studio ha come limite l'incertezza di una stima. Ma i dati sono in linea con quelli di un altro lavoro pubblicato lo scorso anno sull’European Heart Journal. In quel caso i ricercatori - tra cui anche diversi autori dell'ultimo studio - si erano soffermati sulle stime dei decessi in Europa attribuibili all'inquinamento. Nel Vecchio Continente, ogni anno, oltre 650mila persone perderebbero la vita a causa di una malattia cardiovascolare (infarto, arresto cardiaco, trombosi venosa e aritmia), di un ictus o di una malattia respiratoria. Rifacendosi ai dati del 2015, i tassi di mortalità più elevati dovuti all’aria malsana sono stati registrati in Bulgaria, Croazia, Romania e Ucraina (oltre 200 ogni centomila abitanti). Quanto alle altre nazioni, la graduatoria vede la Germania (154) davanti alla Polonia (150), all’Italia (136), alla Francia (105) e al Regno Unito (98). Il divario tra Est e Ovest dell’Europa, secondo gli esperti, non sarebbe dovuto alla differenza nei tassi di inquinamento, ma a uno standard di cure più elevato negli Stati occidentali.
Fonti
Fabio Di Todaro
Giornalista professionista, lavora come redattore per la Fondazione Umberto Veronesi dal 2013. Laureato all’Università Statale di Milano in scienze biologiche, con indirizzo biologia della nutrizione, è in possesso di un master in giornalismo a stampa, radiotelevisivo e multimediale (Università Cattolica). Messe alle spalle alcune esperienze radiotelevisive, attualmente collabora anche con diverse testate nazionali ed è membro dell'Unione Giornalisti Italiani Scientifici (Ugis).