«E’ uno stile di vita che rende felici», spiega una grande atleta bulgara che ha giocato in Italia e che ha allenato molte squadre giovanili. L’importanza della corretta alimentazione
«E’ uno stile di vita che rende felici», spiega una grande atleta bulgara che ha giocato in Italia e che ha allenato molte squadre giovanili. L’importanza della corretta alimentazione
Non è sempre maschile la poltrona di chi dirige una squadra di pallavolo femminile. Alcune atlete, campionesse, alla fine della loro carriera agonistica, hanno allenato squadra di serie A,B e C, ma la pressione maschilista ha sempre determinato o influito sulla continuità del loro lavoro. Parliamo per esempio di Zvetana Bojourina, bulgara di Pernik, oggi sessantenne che dopo i successi nel suo paese è venuta, prima a vincere in Italia, alla Teodora di Ravenna e poi ad allenare, per 5 anni, squadre giovanili. Ancora oggi ricorda le partite giocate in Bulgaria, i patimenti e i disturbi dovuti alla scorretta alimentazione. «Per me è stato un cambiamento forte quando sono venuta in Italia – dice la sportiva – perché non mi ero mai preoccupata dell’alimentazione. Si mangiava di tutto, sia prima sia dopo le gare. Dirigenti e allenatori non ci davano indicazioni al proposito. Avevamo totale autonomia per lo stile di vita da tenere fuori dal campo. In Italia ho capito perché a volte in Bulgaria durante le gare non riuscivo a rendere. Era la cattiva digestione. Gli acidi che andavano su e giù. A 30 anni sono venuta a Ravenna e ho cominciato a capire che cosa significa curare la dieta e il valore di quella mediterranea, che cosa bisogna mangiare prima e dopo le gare. Il nostro allenatore, il grande Sergio Guerra, ti insegnava anche a mangiare e a stare bene in salute. Tutto per vincere, ma anche per vincere le malattie».
LA SUA STORIA - Zvetana Bojurina, ha cominciato a giocare a pallavolo nel 1968 nella sua città natale. Poi ha vinto tre titoli nazionali e tre coppe di Bulgaria, una coppa Campioni ('79) e una coppa delle Coppe ('82). «Sono stati belli i tempi dell’Italia – aggiunge – anche perché mi hanno fatto conoscere l’amore, Sandro, un giornalista sportivo. Sono stata la prima straniera della Teodora Ravenna, allenata da Guerra e con Manuela Benelli bravissima alzatrice. Era una squadra che ha vinto 11 campionati consecutivi. Sono arrivata a Ravenna a ottobre 1982 e ho vinto gli scudetti negli anni 1983, 1984 e 1986».
IL RAPPORTO COL CIBO – Come ha cambiato la sua vita il contatto con la dieta? «Molto, perché ho scoperto come il cibo influenzi la prestazione agonistica – ci racconta Zvetana -. Fino a quando sono venuta in Italia non sapevo che cosa erano i carboidrati e le proteine, quali alimenti li contenevano e quali era necessario mangiare per assimilare i giusti componenti utili alla mia prestazione sportiva. In Bulgaria si mangiavano peperoni, crauti e pasticci di carne senza alcuna regola. Qui, in Italia, ho cominciato a mangiare cibi facili da digerire, come la pasta in bianco o al pomodoro, la carne e molta verdura e frutta. Qualche volta la mozzarella o il prosciutto, ma niente patatine fritte. Non potevamo mangiare la pizza, nemmeno dopo la partita, perché avremmo dovuto viaggiare e la pizza ci avrebbe guastato la digestione. Quindi non soltanto attenzione al cibo in vista della gara, ma anche nella vita quotidiana».
I CONTROLLI MEDICI – Qualcuno controllava il vostro stato di salute? «Questo sì, era un impegno civile in Bulgaria, allora stato socialista – aggiunge l’atleta – e ogni 6 mesi dovevamo sottoporci ad esami clinici di controllo. Infatti una nostra compagna è risultata malata di leucemia, e ha dovuto lasciare lo sport. Ma avendo scoperto la malattia in tempo, è riuscita a curarsi e a tornare in campo. Questo è molto bello, perché senza lo sport e i controlli medici, la ragazza poteva anche morire». Quale era il rapporto delle sue compagne di squadra con il cibo? «Non si facevano problemi perché, a quei tempi – dice - non c’era attenzione al fisico perfetto, non c’era la ricerca spasmodica ad apparire di oggi. E poi le ragazze non avevano tempo da perdere. Anche a Ravenna non erano professioniste. Fra la scuola, gli allenamenti, il lavoro e le gare non c’era proprio il tempo per “sgarrare”».
I RICORDI - E che cosa direbbe alle ragazze di oggi? «Beh, direi che lo sport è importante, per tutte le ragazze, anche le più piccole. Tutte possono giocare a pallavolo, purché sia un divertimento, un gioco. Fare sport è uno stile di vita, che ti tiene lontano dall’ozio, ti fa stare con la gente, ti fa crescere, ti tempra il carattere. Poi magari arrivano i risultati, ma intanto stai bene in salute, una salute che ti porti dietro per tutta la vita».
Edoardo Stucchi