Il problema è sottovalutato, anche dagli specialisti. Ma per i pazienti anziani la malnutrizione aumenta il rischio di complicanze entro tre mesi dalle dimissioni
Molti non si rendono nemmeno conto di esserlo, ma la verità descritta dai numeri è comprovata e non riguarda soltanto il momento delle dimissioni. In Italia un anziano su due è malnutrito già quando varca il portone di un ospedale. Il «biglietto da visita» può risultare non privo di effetti. Come dimostrato a più riprese, infatti, la malnutrizione può peggiorare gli esiti clinici di un paziente: si va da una maggiore probabilità di complicanze a un aumento dei tassi di morte.
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TROPPI GLI ANZIANI MALNUTRITI
A sollevare il problema è Maurizio Muscaritoli, direttore dell’unità operativa di nutrizione clinica del policlinico Umberto I di Roma. In occasione del congresso nazionale della Società Italiana di Nutrizione Clinica e Metabolismo (SINuC), lo specialista ha rimarcato come «spesso si sottovaluti l’importanza che la massa muscolare e la forza fisica hanno nell’ambito del recupero successivo al ricovero e della malattia stessa». Le conseguenze più gravi riguardano quei pazienti anziani affetti da una malattia cardiaca o polmonare, come dimostrato da uno studio pubblicato su Clinical Nutrition. La ricerca, condotta su 652 over 65 malnutriti e ricoverati per cause cardiovascolari (insufficienza cardiaca congestizia e infarto del miocardio) o polmonari (polmonite e broncopneumopatia cronica ostruttiva), ha evidenziato come l’integrazione della dieta (con un integratore orale in grado di apportare venti grammi di proteine al giorno) sia in grado di ridurre in maniera significativa la mortalità dei pazienti nei tre mesi successivi alla dimissione ospedaliera. Tutto ciò è stato riscontrato dopo aver garantito ai pazienti le cure prescritte dai medici e un programma dietetico standard.
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QUALI CONSEGUENZE PER LA LORO SALUTE?
Nutrirsi nella terza età può diventare più difficile, per ragioni fisiologiche (si ha meno fame) o legata all’evoluzione di alcune malattie. Spiega Muscaritoli: «Quando si diventa anziani la digestione e l’assorbimento rallentano, possono subentrare problemi di masticazione e deglutizione, alterazione del gusto e difficoltà ad alimentarsi in maniera autonoma». Per tutte queste ragioni gli anziani tendono a mangiare meno rispetto a quanto facevano in precedenza e non rispettano quello che sarebbe il loro fabbisogno energetico giornaliero.
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IN OSPEDALE
Già nel 2009 una ricerca pubblicata su Clinical Nutrition aveva portato alla luce come la metà dei pazienti ospedalizzati coinvolti non terminasse il pasto offerto. Stando alle conclusioni di una ricerca pubblicata sul British Journal of Nutrition nel 2004, una simile condizione, perpetrata nel tempo, espone il paziente a un rischio triplo di contrarre infezioni ospedaliere. Senza dimenticare la compromissione della mobilità, il più frequente riscontro di complicanze postoperatorie, lo sviluppo di piaghe da decubito e fratture. A determinare queste ultime è la progressiva perdita di massa magra e di forza muscolare. Una condizione nota come sarcopenia che ha inizio già dopo i cinquant’anni, può essere accentuata dalla presenza di malattie (disturbi alimentari, malattie gastrointestinali, tumori) e dall’adozione di una dieta inadeguata. In questi casi gli esperti raccomandano un intervento nutrizionale: per via orale, enterale (attraverso un sondino nasogastrico) o parenterale (alimentazione per via endovenosa).
Fabio Di Todaro
Giornalista professionista, lavora come redattore per la Fondazione Umberto Veronesi dal 2013. Laureato all’Università Statale di Milano in scienze biologiche, con indirizzo biologia della nutrizione, è in possesso di un master in giornalismo a stampa, radiotelevisivo e multimediale (Università Cattolica). Messe alle spalle alcune esperienze radiotelevisive, attualmente collabora anche con diverse testate nazionali ed è membro dell'Unione Giornalisti Italiani Scientifici (Ugis).