Mentre in Italia vige l’autoregolamentazione, la Food and Drug Administration impone alle aziende alimentari di eliminarli entro il 2018. Il danno che provocano al cuore e alle arterie è ormai comprovato
Il problema riguarderà in primis le aziende. I benefici, a partire dal 2018, potranno essere condivisi da tutti i cittadini statunitensi. La stretta sui grassi idrogenati arriva da Oltreoceano, dove - come riporta uno studio appena pubblicato sul Journal of the American Medical Association - i tassi di sovrappeso (34 per cento degli adulti) e obesità (35 per cento) non accennano a calare. A imprimerla la Food and Drug Administration, l’ente regolatorio in materia di cibo e farmaci. «L’obiettivo è ridurre entro tre anni l’incidenza di malattie coronariche e prevenire migliaia di attacchi di cuore».
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LA STRETTA
Si tratta di un provvedimento che dimostra il giro di vite imposto al consumo dei grassi «cattivi», le cui ricadute sono rivolte direttamente ai consumatori. Per utilizzare quelli trans, d’ora in avanti, le aziende americane dovranno chiedere l’ok alla Fda, che in prima persona potrà a questo punto avviare la riduzione dei consumi. Gli esperti sono convinti: non trattandosi di nutrienti essenziali per la salute dell’uomo, ma per cui è stato provato a più riprese un aumento dei livelli di trigliceridi e di colesterolo «cattivo» Ldl conseguente a una dieta ricca degli stessi, è giunta l’ora di tagliarne il consumo. Ma l’operazione è più facile a dirsi che a farsi. Gli acidi grassi trans, ottenuti dall’idrogenazione degli oli vegetali, risultano infatti utilizzati dall’industria alimentare per la produzione di merendine, glasse, biscotti, patatine fritte, pasti confezionati.
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RIPERCUSSIONI PER L’INDUSTRIA
Il loro impiego è decollato a partire dal 1970, da quando la margarina è divenuta popolare. Negli Stati Uniti dal 2006 - anno in cui una metanalisi dimostrò che un apporto pari al due per cento delle energie assunte corrisponde a un aumento rischio di incorrere in malattie cardiovascolari pari al 23 per cento - è obbligatorio segnalare la dicitura «contenente grassi idrogenati» sui prodotti confezionati, citando la quantità di presente. Attualmente gli alimenti possono essere etichettati come «privi di grassi idrogenati» se ne contengono meno di 0,5 grammi per porzione. Questa scelta ha già favorito una riduzione del 78 per cento dell’esposizione per i consumatori. Ma nel caso specifico non c’è riduzione che basti. «Il consumo di acidi grassi trans deve essere il più basso possibile», fa sapere la Fda. In Italia vige l’autoregolamentazione da parte delle aziende. Di più, invece, hanno fatto già da anni Danimarca, Austria, Ungheria, Islanda, Norvegia e Svizzera: fissando dei limiti nazionali per l’utilizzo di grassi trans negli alimenti che equivalgono quasi a dei divieti.
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GLI EFFETTI SULLA SALUTE
Di fatto la posizione espressa dall’ente regolatorio americano è analoga a quella espressa dall’Organizzazione Mondiale della Sanità pochi mesi fa, che parlò dei grassi trans come tossici. Della stessa opinione era stata l’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare (Efsa), già nel 2004. A beneficiare di questa piccola svolta saranno anzitutto le arterie e il cuore. «Va riconosciuto il coraggio di questa misura - afferma Steven Nissen, direttore della cattedra di medicina cardiovascolare alla Cleveland Clinic -. Si tratta di una mossa di enorme importanza: i grassi trans rappresentano una tragedia nella storia della dieta americana». Anche il Ministero della Salute italiano evidenzia che «è dimostrato che gli acidi grassi trans aumentano i livelli di colesterolo Ldl e riducono quelli del colesterolo Hdl».
Le conseguenze per la salute sono inconfutabili, secondo la Società Italiana dell’Obesità, e comparabili a quelle generate dai grassi saturi: «Il rischio complessivo di malattia cardiovascolare aumenta significativamente in relazione a un elevato consumo di acidi grassi trans». Acclarati, nel tempo, sono anche gli effetti pro-infiammatori, di formazione di placche aterosclerotiche e di danno alla memoria. L’indicazione che gli specialisti italiani condividono con l’American Heart Association è quella di «non superare un consumo giornaliero di 2-2,5 grammi di acidi grassi trans al giorno, oltre il quale aumenta significativamente il rischio cardiovascolare». A ciò occorre aggiungere la conclusione di un lavoro apparso sul New England Journal of Medicine nel 2006: «L’eliminazione dei trans dalla dieta, sostituiti con carboidrati o grassi insaturi a conformazione cis, ridurrebbe l’incidenza delle malattie cardiovascolari del 20-25 per cento». Come evitarli? Prestando attenzione alle etichette dei cibi industriali, nel momento in cui facciamo la spesa.
Fonti
WHO plan to eliminate industrially-produced trans-fatty acids from global food supply, Organizzazione Mondiale della Sanità
Fabio Di Todaro
Giornalista professionista, lavora come redattore per la Fondazione Umberto Veronesi dal 2013. Laureato all’Università Statale di Milano in scienze biologiche, con indirizzo biologia della nutrizione, è in possesso di un master in giornalismo a stampa, radiotelevisivo e multimediale (Università Cattolica). Messe alle spalle alcune esperienze radiotelevisive, attualmente collabora anche con diverse testate nazionali ed è membro dell'Unione Giornalisti Italiani Scientifici (Ugis).