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Pediatria
Fabio Di Todaro
pubblicato il 04-03-2015

Nuove conferme dalla terapia genica per la cura dell'emofilia B



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I benefici e i ridotti sanguinamenti hanno trovato conferme anche a cinque anni dal trattamento. Ma servono riscontri anche sulla forma A prima di avviare una sperimentazione clinica sull'uomo

Nuove conferme dalla terapia genica per la cura dell'emofilia B

Si arricchisce di evidenze il filone della terapia genica applicata alla risoluzione dei casi di emofilia, la malattia ereditaria che nei secoli scorsi colpì diverse famiglie reali europee e che oggi riguarda da vicino 170mila persone nel mondo: di cui settemila in Italia. Se finora le cure hanno agito sulle manifestazioni cliniche della malattia - con somministrazioni del fattore mancante per via endovenosa ogni 2-3 giorni e per tutta la vita -, il nuovo approccio potrebbe intervenire alla causa del problema.

 

L’ULTIMA CONFERMA

La ricerca per vincere questa battaglia si muove su un binario preciso, già testato con successo per curare la leucodistrofia metacromatica e la sindrome di Wiskott-Aldrich. Protagonisti i ricercatori dell’ospedale San Raffaele di Milano guidati da Luigi Naldini, gli stessi che hanno appena pubblicato un nuovo studio preclinico su Science Translational Medicine. Giungono conferme circa l’opportunità di curare l’emofilia B - in cui a impedire la coagulazione del sangue è la carenza del fattore IX - utilizzando piccoli virus adeno-associati (non patogeni) attraverso cui veicolare nel genoma la porzione di Dna mancante. Nel corso della ricerca, condotta su animali, si è visto come una singola somministrazione del vettore abbia ripristinato l’espressione del fattore della coagulazione mancante e ridotto i sanguinamenti spontanei - frequenti nei pazienti emofilici - a più di cinque anni dal trattamento.

 

L’HIV PER CURARE L’EMOFILIA?

Nel corso dello studio i vettori lentivirali, derivati dal virus che provoca l’Aids, sono stati iniettati direttamente nel sangue degli animali, e da qui hanno potuto raggiungere il fegato, sede di produzione del fattore IX della coagulazione. Qui è avvenuta la correzione del Dna, cui è seguita l’immissione nel circolo sanguigno del fattore prima carente. Oggi tutti e tre i cani coinvolti nella sperimentazione sono vivi e hanno riportato un beneficio duraturo a più di cinque anni dal trattamento. «Questo approccio potrebbe funzionare anche nell’uomo e a qualsiasi età - commentava Merlin Crossley, direttore del laboratorio di genetica molecolare all'Università di Sidney, in un dossier sulla malattia pubblicato nei mesi scorsi su Nature -.

Così, quando il fegato cresce, le nuove cellule contengono già il gene per il fattore di coagulazione mancante e le reazioni immunitarie sono escluse». Prossimi passi: avviare una sperimentazione clinica (nell’uomo) della terapia genica dell’emofilia B con i vettori lentivirali, superare l’ostacolo della reazione immunitaria (l’organismo può “rispondere” anche all’inoculo del virus su cui viaggia il gene riparatore), e confermare i medesimi risultati anche per l’emofilia A (manca il fattore VIII di coagulazione), la più diffusa tra le due malattie.

Fabio Di Todaro
Fabio Di Todaro

Giornalista professionista, lavora come redattore per la Fondazione Umberto Veronesi dal 2013. Laureato all’Università Statale di Milano in scienze biologiche, con indirizzo biologia della nutrizione, è in possesso di un master in giornalismo a stampa, radiotelevisivo e multimediale (Università Cattolica). Messe alle spalle alcune esperienze radiotelevisive, attualmente collabora anche con diverse testate nazionali ed è membro dell'Unione Giornalisti Italiani Scientifici (Ugis).


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