A Bergamo, nei bambini, osservata la frequente compresenza tra la malattia di Kawasaki e il Covid-19, che rimane comunque una condizione rara tra i bambini
Diciannove casi in cinque anni (febbraio 2015-febbraio 2020). E oltre la metà in appena due mesi (18 febbraio-20 aprile). In concomitanza con la pandemia di Covid-19, le diagnosi di malattia di Kawasaki (condizione di natura infiammatoria che colpisce i vasi sanguigni) sono aumentate di trenta volte. A esserne colpiti sono stati bambini contagiati da Sars-CoV-2, il coronavirus che finora in Italia ha colpito (almeno) 223mila persone, provocando oltre 31mila decessi. Un incremento che - alla luce dell'entità - non sembra essere casuale agli specialisti dell'ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo. Sono stati loro i primi a riflettere sulla concomitanza delle due malattie. «Nei bambini il decorso del Covid è generalmente meno grave, ma è bene sapere che alcuni di loro possono sviluppare in concomitanza la malattia di Kawasaki», afferma Lorenzo D'Antiga, direttore dell'unità operativa di pediatria e coordinatore del primo studio che descrive l'incremento delle vasculiti tra i piccoli pazienti contagiati dal coronavirus.
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COSA E' ACCADUTO A BERGAMO?
Nell'articolo, pubblicato sulla rivista The Lancet, i medici bergamaschi hanno ricostruito quanto osservato nel capoluogo con il più alto tasso di contagi (da Sars-CoV-2) e di decessi (per Covid-19) in Italia. Tra febbraio e aprile, i camici bianchi hanno riscontrato un incremento degli accessi al pronto soccorso di bambini affetti dalla malattia di Kawasaki. «In un solo mese, il numero dei casi ha eguagliato quelli visti nei tre anni precedenti - dichiara Lucio Verdoni, reumatologo pediatra del Papa Giovanni XXIII -. Parliamo, mediamente, di un accesso ogni tre giorni. A quel punto, visto il diffondersi dei contagi nella nostra provincia, abbiamo sottoposto questi bambini a test sierologici per verificare la presenza di anticorpi IgG e IgM. Su dieci pazienti, soltanto in due casi l'esame ha dato esito negativo». Un risultato che potrebbe aver peccato in accuratezza, dal momento che «alla fine tutti i bambini sono risultati contagiati dal coronavirus». Da qui l'ipotesi che la malattia di Kawasaki possa essere legata al Covid-19. Causa o effetto? Una risposta non c'è ancora. In tutti i casi, considerando che il Covid ha un decorso generalmente meno grave tra i più piccoli, il percorso è stato reso più complicato dalla compresenza delle due condizioni. Ma il fine è stato sempre lieto. Al momento, tutti i bambini in questione sono infatti clinicamente guariti.
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MALATTIA DI KAWASAKI: DI COSA SI TRATTA?
La malattia di Kawasaki è una vasculite che colpisce (soprattutto) i vasi sanguigni di medio calibro dei bambini e si manifesta con sintomi tipici: la febbre elevata e persistente, un’eruzione cutanea, delle irritazioni delle mucose (soprattutto della bocca e degli occhi) e delle estremità (mani e piedi). La complicanza più temibile è l’infiammazione delle arterie del cuore, che può causare delle dilatazioni permanenti (aneurismi) delle coronarie. Le sue cause - la condizione è nota dalla metà del secolo scorso, quando il pediatra giapponese Tomisaku Kawasaki riportò per la prima volta cinquanta casi sull'Isola: dove si sono verificate tre epidemie (1979, 1982 e 1986) - sono al momento sconosciute. Una delle ipotesi è che a provocarla sia una reazione immunitaria eccessiva a un'infezione. «Si tratta di una malattia comunque rara: colpisce in media 14 bambini ogni centomila - aggiunge D'Antiga -. La loro età media è 3 anni, ma in queste settimane abbiamo visto accedere in ospedale pazienti più grandi, anche di 7-8 anni».
COME SI CURA?
Rispetto al passato, nell'associazione con il Covid-19, la malattia di Kawasaki si è presentata in maniera più grave. Oltre la metà dei bambini (60 per cento) ha infatti manifestato complicanze cardiache (rispetto al 10 per cento del passato). «Normalmente, i pazienti rispondono bene alla terapia che si avvale della somministrazione di immunoglobuline (anticorpi, ndr) e aspirina, che agisce da antinfiammatorio e antiaggregante - aggiunge D'Antiga -. In forme più severe, come quelle che compaiono nei pazienti positivi al coronavirus, può però essere necessario somministrare una terapia a base di cortisone o con farmaci che supportano la pressione sanguigna. In ogni caso, con il trattamento appropriato somministrato in tempi rapidi, guariscono tutti i bambini».
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Della possibile correlazione tra l’infezione e la malattia di Kawasaki, i medici parlavano già da settimane. Situazioni analoghe a quella di Bergamo, da febbraio a oggi, si sono registrate anche in diversi ospedali della Liguria e del Piemonte e in altri Paesi: dagli Stati Uniti alla Gran Bretagna. Il tempo è servito a consolidare la casistica e a mettere i dati nero su bianco. «I genitori devono però rimanere tranquilli - chiosa D'Antiga, che a marzo era già intervenuto per rassicurare le mamme e i papà dei bambini immunodepressi -. Anche se assieme alla malattia di Kawasaki, il Covid si manifesta con i sintomi più frequenti: febbre, tosse e astenia. Sono questi i campanelli d'allarme da monitorare. Siamo noi medici invece a dover essere consapevoli della possibile concomitanza delle due condizioni, per trattarle nel modo più appropriato. Stiamo imparando che questo virus può causare anche altre malattie, attivando il sistema immunitario dell’ospite e inducendo una risposta infiammatoria che può interessare qualsiasi organo. Anche a distanza di tempo dall’infezione».
Fonti
Fabio Di Todaro
Giornalista professionista, lavora come redattore per la Fondazione Umberto Veronesi dal 2013. Laureato all’Università Statale di Milano in scienze biologiche, con indirizzo biologia della nutrizione, è in possesso di un master in giornalismo a stampa, radiotelevisivo e multimediale (Università Cattolica). Messe alle spalle alcune esperienze radiotelevisive, attualmente collabora anche con diverse testate nazionali ed è membro dell'Unione Giornalisti Italiani Scientifici (Ugis).