Ancora oggi per gli adolescenti colpiti da tumore (800 nuove diagnosi l'anno) restano difficoltà nella diagnosi e nell'accesso alle cure
Quella degli adolescenti è una terra di mezzo, meravigliosa e complessa, fatta di emozioni contrastanti. È un corpo che cambia, è un cervello in movimento vorticoso, un approccio nuovo alla vita che si va costruendo. Ma quando, a questo tumulto psicofisico, si aggiunge una malattia oncologica, per fortuna di rado, la cura diventa una sfida ancora più faticosa e articolata di quanto avvenga in altri fasi dell’esistenza.
TEMPI PIÙ LUNGHI PER ARRIVARE A UNA DIAGNOSI
«È così per circa 800 adolescenti, ossia ragazzi compresi in una fascia di età tra i 15 e i 19 anni che annualmente ricevono una diagnosi di tumore in Italia» spiega Andrea Ferrari, Pediatria Oncologica, Fondazione IRCCS Istituto Nazionale dei Tumori di Milano. «Per loro arrivare ad una definizione della malattia è più difficile rispetto ai bambini. In età pediatrica (0-14 anni) si riceve infatti la diagnosi mediamente nell’arco di 40 giorni, tempi che aumentano esponenzialmente per i ragazzi, con una media di 137 giorni (tempo ancora più lungo durante la fase più acuta della pandemia, ma ora siamo tornati alla “normalità)».
LE RAGIONI DEL RITARDO
Perché per gli adolescenti colpiti da tumore la diagnosi arriva mediamente più tardi, rispetto ai pazienti più piccoli? Perché accade? «Le ragioni sono diverse – risponde Andrea Ferrari, che fa anche parte del Comitato Scientifico di Fondazione Umberto Veronesi -. Gli adolescenti sfuggono al controllo attento dei genitori e talvolta esercitano una sorta di arte del diniego di fronte a un proprio malessere o a sintomi che si protraggono nel tempo. Lo fanno un po’ per disattenzione o perché, a quell’età, pensano di essere invincibili e poco predisposti a malattie serie. I medici di base a volte, perché eccessivamente oberati dalla gestione dei numerosi pazienti e dalle infinite pratiche burocratiche o perché scarsamente consapevoli circa l’insorgere dei tumori durante l’adolescenza, tendono a dare poco rilievo a segnali che invece dovrebbero essere valutati in maniera più attenta».
L’ACCESSO ALLE CURE E IL RUOLO DEI MEDICI
Prosegue l’oncologo pediatra: «Esiste inoltre un problema di accesso alle cure, vero in particolare se paragonato ai miglioramenti ottenuti negli anni per quanto concerne le cure pediatriche. E spesso i genitori stessi fanno fatica a capire a chi rivolgersi per curare i propri figli: alla pediatria o all’oncologia per adulti? Quale il referente migliore? E anche da questo punto di vista fondamentale è il supporto del medico di base per l’invio del giovane paziente al più corretto centro di riferimento. Compito talvolta non semplicissimo, anche perché mancano nel territorio, con significative differenze regionali, reti ben definite in grado di facilitare il percorso diagnostico. C’è la rete dell’AIEOP per i bambini, e in genere i pediatri di libera scelta sono ben consapevoli della sua esistenza, ma non c’è un’analoga rete per gli adolescenti e i giovani adulti».
LA NATURA STESSA DI QUESTI TUMORI COMPLICA LE COSE
«L’epidemiologia negli adolescenti è infatti particolare - spiega ancora Ferrari -possono insorgere neoplasie tipiche del bambino (leucemie, tumori cerebrali), tumori più caratteristici dell’adolescenza (sarcomi, linfomi) e tumori, invece, più specificamente caratteristici dell’età adulta (come carcinomi e melanomi). Tutto ciò implica un’ulteriore difficoltà perché richiede competenze su patologie oncologiche molto diverse tra loro; così come disponibilità di protocolli di cura estremamente diversificati, dedicati ai tumori dei bambini e quindi gestiti dagli oncologi pediatri e dedicati ai tumori degli adulti e quindi di pertinenza dell’oncologo medico dell’adulto».
UN RISCHIO DA EVITARE
«Molti studi dimostrano, inoltre, come gli adolescenti rappresentino uno specifico gruppo di pazienti per i quali esiste non solo un problema di accesso alle cure, ma anche di arruolamento nei protocolli clinici. Gli adolescenti rischiano quindi di non ricevere le terapie migliori, o riceverle in ritardo, con conseguenza sulle loro possibilità di guarigione. Se da un lato è vero che globalmente le percentuali di sopravvivenza dei pazienti adolescenti superano il 70%, dall’altro è documentato per molti tumori le probabilità di guarigione degli adolescenti sono minori di quelle dei bambini. A parità di malattia e stadio, un adolescente ha infatti minori probabilità di guarigione di un bambino. Un punto chiaro, oggi, dimostrato da numerosi studi, è che, per quanto concerne neoplasie più tipiche dell’età pediatrica, come la leucemia linfoblastica acuta, il rabdomiosarcoma, il sarcoma di Ewing, l’osteosarcoma e il medulloblastoma, i pazienti adolescenti hanno un vantaggio in termini di sopravvivenza se trattati in un centro pediatrico rispetto a un centro di oncologia dell’adulto. Questo non vale invece per tumori di tipo adulto (come carcinomi o melanomi), ma va ricordato che circa due terzi delle neoplasie che insorgono nell’adolescenza sono di fatto tumori tipici dell’età pediatrica vera e propria».
LA SITUAZIONE È IN MIGLIORAMENTO
E se il panorama della diagnosi e delle cure oncologiche in età adolescenziale resta una sfida complessa, bisogna però anche sottolineare quanto lo scenario nazionale sia cambiato negli ultimi anni. «In Italia -afferma Ferrari -la percentuale di pazienti adolescenti curati nei centri AIEOP rispetto ai casi attesi (in base all’incidenza) è passata dal 10% nel periodo 1989-2006 al 28% nel periodo 2007-2012 al 37% degli anni 2013-2017. Dieci anni fa il 44% dei centri AIEOP aveva limiti di età per l’accesso fissati a 16 anni (o meno), mentre oggi limiti inferiori ai 18 anni sono presenti solo nel 26% dei centri (ma questi limiti vengono riferiti come non ferrei), al punto che la presenza di limiti di età, vista dieci anni fa come una barriera maggiore, sembra oggi essere un problema in gran parte superato. Infine, fino a tre-quattro anni fa esistevano in Italia solo due progetti dedicati ai pazienti adolescenti e giovani adulti (ad Aviano e Milano), mentre oggi esistono 19 centri AIEOP che hanno sviluppato un programma dedicato (in particolare, quasi tutti i centri maggiori). La maggior attenzione dedicata oggi in Italia agli adolescenti con tumore e lo sviluppo di progetti specifici è, perlomeno in parte, il risultato delle attività di informazione realizzate in questi anni dalla Commissione Adolescenti AIEOP. Anche dal punto di vista della letteratura scientifica dedicata agli adolescenti con tumore è stato fatto un “salto quantico”, passando così da una percentuale davvero irrisoria di studi rispetto a quelli riguardanti l’oncologia in età pediatrica, a una percentuale attualmente paragonabile e, anzi, quasi sovrapponibile».
CONSIGLI UTILI: I SINTOMI A CUI PRESTARE ATTENZIONE
Premesso che i tumori che possono colpire un adolescente hanno caratteristiche molto diverse tra loro e che, è bene ribadirlo, si tratta comunque fortunatamente di malattie rare; bisogna stare attenti ad alcuni sintomi. «Si tratta generalmente - spiega Ferrari - di sintomi apparentemente senza causa, ossia senza una connessione stretta a un evento scatenante (un trauma, una caduta, un periodo influenzale in cui, magari, anche i familiari sono malati):
- una febbricola o una febbre che tendono a durare per più settimane
- un mal di testa costante
- una tumefazione (gonfiore, ematoma) che non scompare
- un linfonodo visibile, soprattutto se duro, non dolente e di dimensioni significative
- un’eccessiva stanchezza immotivata
- un neo che cambia forma, colore o che sanguina
sono tutte situazioni che, senza allarmismi, devono però essere riferite al medico e non sottovalutate. La solerzia nella diagnosi è importante per rendere più efficaci le cure e per migliorare la prognosi, ovviamente non con la fobia di pochi giorni in più che sono fisiologici anche nell’esecuzione degli esami clinici e che, nella stragrande maggioranza dei casi, non cambiano minimamente la situazione».
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Fonti
Paola Scaccabarozzi
Giornalista professionista. Laureata in Lettere Moderne all'Università Statale di Milano, con specializzazione all'Università Cattolica in Materie Umanistiche, ha seguito corsi di giornalismo medico scientifico e giornalismo di inchiesta accreditati dall'Ordine Giornalisti della Lombardia. Ha scritto: Quando un figlio si ammala e, con Claudio Mencacci, Viaggio nella depressione, editi da Franco Angeli. Collabora con diverse testate nazionali ed estere.