L'infezione da Sars-CoV-2 nei bambini è nella maggior parte dei casi asintomatica. Tra le possibili manifestazioni, la febbre è la più frequente. A seguire, la tosse
Sul piano clinico, i bambini sono stati quasi «trascurati» dal Covid-19. In Italia, fino a metà novembre, i casi diagnosticati entro i nove anni sono stati meno del quattro per cento del totale. E allargando l’analisi fino alla maggior età, a perdere la vita a causa della malattia provocata dall’infezione da Sars-CoV-2 sono stati in otto, tra bambini e ragazzi. Dati che testimoniano come i più piccoli, oltre a essere stati finora meno contagiati, hanno sviluppato forme gravi di polmonite bilaterale in pochissimi casi (e sempre partendo da una condizione di salute non ottimale). Al di là di questo, i genitori sono sempre alla ricerca di informazioni riguardo alle manifestazioni della malattia nei più piccoli. Oggi, a quasi un anno dal riscontro del primo caso nel nostro Paese, lo scenario è consolidato al punto da poter fornire indicazioni attendibili.
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ATTENZIONE (SOPRATTUTTO) ALLA FEBBRE
La febbre è il sintomo d’esordio più frequente (in oltre 8 casi su 10) dell’infezione da SARS-CoV-2 nel bambino, seguita da tosse (38 per cento) e rinite (20.8 per cento). Al quarto posto c’è la diarrea (16 per cento). I dati emergono da uno studio condotto dalla Società Italiana di Pediatria e dalla Società Italiana di Infettivologia Pediatrica in oltre 50 ospedali deputati all’assistenza dei pazienti Covid-19. Alla ricerca hanno preso parte 759 pazienti: con oltre un quinto di bambini con meno di un anno di vita. L’indagine ha messo in evidenza che esiste uno schema tipico di presentazione della malattia in relazione all’età. «Mentre i bambini sotto l’anno presentano più frequentemente tosse e rinite, i ragazzi più grandi, in età adolescenziale e preadolescenziale, hanno sintomi più tipici a quelli dell’adulto: alterazioni del gusto e dell’olfatto, vomito, mal di testa e dolore toracico», spiegano Silvia Garazzino (ospedale Regina Margherita di Torino) e Luca Pierantoni (Policlinico Sant’Orsola-Malpighi di Bologna), i due pediatri che hanno coordinato l’indagine.
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I CASI PIÙ GRAVI NEI BAMBINI CON MALATTIE CRONICHE
In linea generale si può dunque confermare che l'infezione da SARS-CoV-2 tra i più piccoli - come ribadito nello studio, presentato in via preliminare nel corso del congresso della Società Italiana di Pediatria - avviene prevalentemente in assenza o con pochi sintomi. I bambini si possono dunque infettare, ma spesso senza conseguenze. «I casi sintomatici - spiegano i due specialisti - riguardano quasi sempre bambini che soffrono di una malattia cronica: così come si è visto negli adulti e negli anziani». Da qui, per esempio, l'aumento dei casi di sindrome di Kawasaki registrati nei bambini alle prese con Covid-19. Qual è la ragione per cui i bambini - in special modo i più piccoli - si ammalano di meno? Non c'è ancora una risposta certa. Tra le ipotesi più accreditate, la minore espressione di recettori ACE-2 nel naso e la possibilità di ritrovarsi (in caso di infezione) di fronte a una risposta immunitaria più efficace: sia per via delle altre infezioni frequenti nell’infanzia sia per le diverse vaccinazioni ricevute.
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IL RUOLO DELLE SCUOLE NELLA DIFFUSIONE DEI CONTAGI
Se sul decorso della malattia il parere all'interno della comunità scientifica è unanime da tempo, più acceso è il confronto sulla contagiosità dei più piccoli. Un aspetto che ha finito per ripercuotersi anche sulla chiusura delle scuole, nel corso della seconda ondata di contagi. In realtà, anche su questo punto, i dati più solidi sembrano «assolvere» i più piccoli. Secondo gli esperti, che hanno passato in rassegna diversi studi mirati a fare chiarezza sul tema, «i bambini favorirerebbero il contagio in meno del dieci per cento dei casi», afferma Guido Castelli Gattinara, direttore del centro vaccinale dell'ospedale pediatrico Bambin Gesù di Roma e presidente della Società Italiana di Infettivologia Pediatrica. Da qui il parere favorevole nei confronti della riapertura delle scuole. «Tutte le indagini effettuate in vari Paesi del mondo dimostrano che la trasmissione avviene quasi sempre altrove: soprattutto all’interno delle famiglie - aggiunge Giangiacomo Nicolini, infettivologo all’ospedale San Martino di Belluno -. Ecco perché gli asili e le scuole primarie possono rimanere aperte, con le opportune precauzioni».
POCHI I CLUSTER PARTITI DALLE SCUOLE
Che i più piccoli presentino una scarsa capacità di trasmettere il virus lo dimostrano pure gli studi sui focolai nelle scuole. Prosegue Castelli Gattinara, citando gli esempi provenienti da altri due Stati: «In Inghilterra, su 30 focolai scolastici, la trasmissione dai bambini ha interessato 8 casi. E quella da bambino a bambino 2 casi su 30. In Germania, tra marzo e agosto, sono stati registrati vari focolai scolastici. Ma i contagi tra i bambini di età compresa tra 6 e 10 anni sono stati meno comuni rispetto a quelli rilevati tra i più grandi e tra gli adulti che lavorano nelle scuole». Quanto all'Italia, non è possibile trarre conclusioni definitive. I dati sui contagi diffusi dal Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca (Miur) si fermano alla metà di ottobre: prima del picco che ha riportato il nostro Paese a essere diviso in zone rosse, arancioni e gialle. La situazione, fino a due mesi fa, appariva sotto controllo. Detto ciò, la ripresa della scuola ha comunque contribuito ad aumentare la circolazione del virus. Al 5 ottobre, come documenta uno studio condotto dai camici bianchi del Policlinico Gemelli di Roma (non ancora pubblicato), almeno un caso di infezione risultava riportato in oltre il 90 per cento delle scuole. Un dato che preoccurebbe, ma che gli autori circoscrivono. «Un cluster epidemico con più di dieci studenti è stato riportato da una sola scuola».
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Fonti
Fabio Di Todaro
Giornalista professionista, lavora come redattore per la Fondazione Umberto Veronesi dal 2013. Laureato all’Università Statale di Milano in scienze biologiche, con indirizzo biologia della nutrizione, è in possesso di un master in giornalismo a stampa, radiotelevisivo e multimediale (Università Cattolica). Messe alle spalle alcune esperienze radiotelevisive, attualmente collabora anche con diverse testate nazionali ed è membro dell'Unione Giornalisti Italiani Scientifici (Ugis).