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Pediatria
Fabio Di Todaro
pubblicato il 14-05-2015

Batteri resistenti: e se la soluzione fosse nei “vecchi” antibiotici?



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Per le infezioni lievi delle vie urinarie i betalattamici possono rappresentare la prima scelta, a patto che si individuino i tempi giusti in cui somministrarli

Batteri resistenti: e se la soluzione fosse nei “vecchi” antibiotici?

 

Antibiotici, il vademecum per utilizzarli correttamente

 

L’emergenza c’è e non è nemmeno da trascurare, se «la resistenza agli antibiotici rappresenta una delle tre priorità in tema di salute pubblica che, se non affrontata, ci condannerà a entrare in un’epoca in cui anche infezioni comuni e lievi ferite potranno diventare fatali», afferma Keiji Fukuda, vice direttore generale per la sicurezza sanitaria dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. Il problema riguarda da vicino anche l’Italia. Come provare a risolverlo?

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IL MODELLO MATEMATICO

Diversi gli approcci suggeriti: da un utilizzo più parsimonioso dei farmaci a un potenziamento della ricerca al fine di poter lanciare sul mercato nei prossimi anni nuove molecole efficaci. Ma una contromossa verrebbe anche dalla somministrazione “mirata” degli antibatterici tradizionali, a partire dai beta lattamici. È questo il messaggio che si deduce da uno studio appena pubblicato su Plos Computational Biology. I ricercatori della Duke University hanno redatto un modello matematico con un intento preciso: individuare la finestra temporale entro il quale i beta lattamici non sviluppano la resistenza, così da poter delineare la più efficace strategia di attacco. L’analisi è stata realizzata su questa classe di antibiotici che racchiude alcuni dei composti più utilizzati - dall’amoxicillina alle penicilline, dall’ampicillina alle cefalosporine -, il cui impiego risulta limitato dalla resistenza che molti patogeni hanno sviluppato nei loro confronti. Il messaggio è chiaro: se questa finestra di “sensibilità” fosse individuata per tutti i patogeni che oggi appaiono difficili da fronteggiare, il problema della resistenza assumerebbe contorni ben più delimitati e il consumo di antibiotici diminuirebbe.

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LA RISCOPERTA DEI BETA LATTAMICI

La conclusione può apparire soltanto teorica, ma così non è. «Si tratta di un lavoro interessante che suggerisce a noi clinici di rivalutare gli antibiotici più datati - afferma Nicola Petrosillo, direttore del reparto di malattie infettive dell’Istituto Lazzaro Spallanzani di Roma -. Anche le molecole di più recente scoperta, come i carbapenemi, stanno raggiungendo livelli di resistenza preoccupanti. Per le infezioni più lievi, come quelle urinarie che non coinvolgono i reni e comunque in assenza di sepsi, dobbiamo recuperare i beta lattamici, a patto di definire dei livelli minimi di dosaggio al di sotto del quale non si può scendere».

 

DAL LABORATORIO ALLA CORSIA

È questo il passo successivo che dovranno adesso compiere infettivologi e farmacologi clinici, chiamati a collaborare per portare i pazienti fuori dal guado. Definire il “tempo di guarigione” permetterà di evitare la replicazione dei batteri e lo sviluppo di resistenze. La caratteristica sarà specifica per ogni agente. Qualcosa, in tal senso, si sta già facendo, misurando i livelli di antibiotico raggiunti nel sangue a diversi intervalli di tempo dalla somministrazione. Ottenuti questi dati, si potranno riformulare le modalità di somministrazione dei diversi antibiotici, per cui le indicazioni che oggi compaiono sui foglietti illustrativi appaiono ormai superate. «Il segreto sta in una costante formazione dei medici di base: sono loro a dover dare le giuste indicazioni d’uso ai pazienti», chiosa Petrosillo. Tre consigli sono sempre validi: occorre assumere gli antibiotici solo se necessario e rispettare i tempi e i dosaggi indicati dallo specialista.


@fabioditodaro

Fabio Di Todaro
Fabio Di Todaro

Giornalista professionista, lavora come redattore per la Fondazione Umberto Veronesi dal 2013. Laureato all’Università Statale di Milano in scienze biologiche, con indirizzo biologia della nutrizione, è in possesso di un master in giornalismo a stampa, radiotelevisivo e multimediale (Università Cattolica). Messe alle spalle alcune esperienze radiotelevisive, attualmente collabora anche con diverse testate nazionali ed è membro dell'Unione Giornalisti Italiani Scientifici (Ugis).


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