Si tratta di un test genetico, i cui reali benefici sono in via di valutazione, che permetterebbe di stabilire la natura, l’attività del tumore e la sua evoluzione
Test del PSA: cos'è e a chi serve?
È stato presentato nelle scorse settimane, ad Abano Terne, un nuovo test predittivo che potrebbe rivoluzionare l’approccio diagnostico e terapeutico al tumore della prostata. Importato dagli Stati Uniti, dove è stato messo a punto dai laboratori di biologia molecolare di Salt Lake City, è stato già sperimentato anche in Italia.
IL TEST
Si conferma ‘molecolare’ la strategia per meglio controllare il tumore della prostata, con un nuovo test che, studiando le caratteristiche dei geni, sarebbe in grado di determinare con precisione la natura della malattia, valutarne l’aggressività, ma anche la sua attività nell’arco di dieci anni: in particolare il rischio di mortalità e di recidiva. Il tutto attraverso un campione di tessuto ottenuto da una biopsia oppure prelevato durante l’intervento chirurgico. «Disporre di informazioni sulla precisa natura del tumore – fanno sapere dal Congresso – aiuta il medico nella scelta della terapia ottimale su misura della malattia. Conoscere con anticipo l’evoluzione della malattia in un tempo relativamente lungo consente di optare con maggiore sicurezza per un trattamento precoce, in presenza di malattia aggressiva, oppure per un approccio conservativo o ‘di sorveglianza’ negli altri casi, evitando gli effetti collaterali spesso conseguenti alla prostatectomia o alla radioterapia radicale».
IL PARERE DELL’ESPERTO
Sono ancora pochi in Italia i pazienti – all’incirca 200 – sottoposti al test e bisognerà ancora attendere prima di esprimere un parere definitivo sull’efficacia del test. Ma quelli preliminari sono confortanti: «In seguito all’introduzione del PSA (scopri cos'è) nella pratica clinica - spiega Riccardo Valdagni, responsabile della prostate cancer unit dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano - il tumore della prostata è diventato a forte rischio di sovra-trattamento. Vale a dire che molti dei tumori diagnosticati in seguito all’alterazione di questo esame avrebbero potuto rimanere silenti, avendo un andamento che non provoca sintomi né è causa di morte».
Molte caratteristiche che distinguono i tumori aggressivi dalle forme indolenti sono oggi note, ma le conoscenze ancora imperfette. Occorre perciò definire gli aspetti molecolari e le alterazioni genetiche che stanno alla base del diverso comportamento delle neoplasie. «Questo test – continua lo specialista - misura i trascritti di alcuni geni del ciclo cellulare che, dai risultati di diversi studi, sembrano associarsi ad un maggiore o minor rischio di evoluzione sfavorevole del tumore, sia in assenza di un trattamento aggressivo che dopo prostatectomia o radioterapia radicale».
Il test ha l’obiettivo di migliorare la selezione dei pazienti con tumori indolenti a cui può essere risparmiato o rinviato il trattamento e i relativi effetti collaterali e identificare quei tumori più aggressivi che potrebbero beneficiare da trattamenti proporzionati alla pericolosità della malattia. «I benedici del test sono ancora in corso di valutazione; da solo - conclude Valdagni - non ha comunque significato e deve essere interpretato in combinazione con tutti i parametri (ad esempio il Gleason Pattern Score) oggi noti e utilizzati nella pratica clinica per definire il trattamento di ogni paziente».