In una malattia così frequente e per la quale gli interventi di prevenzione primaria hanno una efficacia relativamente limitata, è intuitivo che programmi di diagnosi precoce (prevenzione secondaria) diventano rilevanti per cercare di ridurne la mortalità. Da circa 20 anni è disponibile il dosaggio plasmatico dell’antigene prostatico specifico (Prostatic Specific Antigen, PSA).
In una malattia così frequente e per la quale gli interventi di prevenzione primaria hanno una efficacia relativamente limitata, è intuitivo che programmi di diagnosi precoce (prevenzione secondaria) diventano rilevanti per cercare di ridurne la mortalità. Da circa 20 anni è disponibile il dosaggio plasmatico dell’antigene prostatico specifico (Prostatic Specific Antigen, PSA).
COS'è IL PSA
Il PSA è una proteina secreta normalmente dalla prostata e circolante nel nostro organismo in piccole quantità.
La dose presente nel sangue spesso aumenta in presenza di tumore. Immediatamente si è diffusa la convinzione che dosando il PSA in persone sopra i 45-50 anni sarebbe stata possibile una diagnosi precoce della malattia, che avrebbe consentito una terapia efficace con conseguente riduzione della mortalità.
Purtroppo, come spesso accade in medicina, i risultati non sono univoci.
Dopo molti anni e diversi studi prospettici, che hanno coinvolto decine di migliaia di pazienti, è in corso un dibattito molto acceso fra coloro che sostengono l’opportunità di uno screening di massa e chi invece lo ritiene totalmente inutile.
Le cause di questo disaccordo derivano principalmente da due fatti:
1) spesso il PSA aumenta anche in assenza di cancro: in questi casi il paziente è sottoposto inutilmente a indagini molto impegnative, sia dal punto di vista psicologico che fisico (oltre che economico);
2) spesso vengono diagnosticate (e trattate) neoplasie con uno sviluppo cosi lento che non avrebbero comunque impattato sulla sopravvivenza.
Su questa base la maggior parte delle linee guida internazionali non raccomandano uno screening di popolazione generalizzato (simile al PAP test o alla mammografia), ma un approccio individualizzato, derivato dalla discussione con il medico e basato sull’analisi del rischio individuale e sulla consapevolezza dei rischi di una overdiagnosi.