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Oncologia
Daniele Banfi
pubblicato il 19-12-2012

Prostata: un tumore sempre più diffuso ma che oggi fa meno paura



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I casi di cancro prostatico sono raddoppiati. Pochi i sintomi specifici e ben definiti. Ecco perché fare diagnosi precoce è difficile. Per sconfiggerlo è necessario il modello “Breast Unit” che garantisce cure appropriate e tempestive

Prostata: un tumore sempre più diffuso ma che oggi fa meno paura

Un aumento del 53 per cento dei casi rispetto a dieci anni fa. E’ questo il poco confortante dato relativo al cancro alla prostata, il più diffuso tumore dell’universo maschile. Ma se da un lato il numero lascia poco spazio alle interpretazioni, dall’altro c’è da ben sperare per quel che riguarda le cure: il tumore della prostata comincia a far meno paura rispetto al passato. Anche se si verificano talvolta casi in persone giovani, nell’ultimo decennio la mortalità è diminuita di ben il 10 per cento. E’ questa, in estrema sintesi, la situazione italiana illustrata al Convegno Nazionale dell’Associazione Italiana di Oncologia Medica (AIOM) delle settimane scorse.

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NUMERI- Entrando nel dettaglio dei dati presentati al convegno si scopre che questa patologia sarà causa di morte, nel 2012, di 7.900 persone. I carcinomi prostatici costituiscono il 20 per cento di tutte le diagnosi di tumore negli over50: saranno quest’anno ben 36.000. «L’incidenza della malattia –spiega il dottor Carmine Pinto, segretario nazione dell’AIOM- è in continua ascesa: i malati diventeranno 44mila nel 2020 e circa 52mila nel 2030. Questo significa un aumento, in diciotto anni, di quasi il 45 per cento. Come per altre neoplasie, sono presenti marcate differenze tra le regioni del Nord e quelle del Sud: rispetto ai 109,5 casi all’anno (ogni 100mila abitanti) nel Settentrione, nelle località del Centro si registra un -22 per cento e, addirittura, un -44 per cento nel Meridione». Dati importanti ma che delineano una situazione italiana tutta a “macchia di leopardo”. Meno diagnosi infatti non significa che la malattia è meno presente.

PREVENZIONE- A differenza di altre forme tumorali fare diagnosi precoce per il cancro alla prostata risulta davvero complicato. Come spiega il professor Massimo Aglietta, oncologo presso l’Università degli Studi di Torino e direttore del Dipartimento Clinico dell’IRCC di Candiolo, «Il tumore prostatico non ha sintomi specifici e ben definiti. Per questo, molte volte, si arriva ad una diagnosi tardiva. I segnali che può mandare questa neoplasia riguardano soprattutto disturbi durante la minzione, che possono però essere causati anche da fisiologici ingrossamenti della prostata. I sintomi compaiono solo se il tumore è abbastanza voluminoso da esercitare pressione sull’uretra». Detto ciò è importante ricordare alcune semplici regole possono però ridurre il rischio tumore: evitare una dieta ricca di grassi ed il contatto con alcune sostanze chimiche come il cadmio, insieme ad uno stile di vita non sedentario, possono ridurre il rischio di sviluppare una neoplasia prostatica. Indipendentemente dagli stili di vita, tuttavia, con l’invecchiamento aumenta la probabilità di essere colpiti dalla patologia, presente in forma latente in oltre il 70% delle persone con più di 80 anni. La presenza di una familiarità accresce ulteriormente questo rischio.

PROSTATE UNIT- Un dato che lascia ben sperare nella lotta al cancro della prostata riguarda quello relativo alla mortalità: da oltre un ventennio si registra una lenta e costante diminuzione che si attesta intorno all’88 per cento di sopravvivenza nei pazienti a 5 anni dalla diagnosi. Questo è merito dei nuovi farmaci in commercio unito al sistema di screening per la diagnosi precoce. Rimane però ancora molto da fare.  «Uno dei nostri obiettivi, come già annunciato nel corso della XIX Conferenza nazionale AIOM sulle neoplasie urologiche del 2011, è di trattare il cancro della prostata seguendo il modello organizzativo ormai consolidato per quello del seno (Breast Unit). La creazione di Prostate Unit, in cui lavorino in stretta sinergia urologi, oncologi, radioterapisti e anatomopatologi, consentirebbe infatti di ridurre ulteriormente i decessi dovuti a questa neoplasia» conclude Pinto.

Daniele Banfi
Daniele Banfi

Giornalista professionista del Magazine di Fondazione Umberto Veronesi dal 2011. Laureato in Biologia presso l'Università Bicocca di Milano - con specializzazione in Genetica conseguita presso l'Università Diderot di Parigi - ha un master in Comunicazione della Scienza ottenuto presso l'Università La Sapienza di Roma. In questi anni ha seguito i principali congressi mondiali di medicina (ASCO, ESMO, EASL, AASLD, CROI, ESC, ADA, EASD, EHA). Tra le tante tematiche approfondite ha raccontato l’avvento dell’immunoterapia quale nuova modalità per la cura del cancro, la nascita dei nuovi antivirali contro il virus dell’epatite C, la rivoluzione dei trattamenti per l’ictus tramite la chirurgia endovascolare e la nascita delle nuove terapie a lunga durata d’azione per HIV. Dal 2020 ha inoltre contribuito al racconto della pandemia Covid-19 approfondendo in particolare l'iter che ha portato allo sviluppo dei vaccini a mRNA. Collabora con diverse testate nazionali.


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