I malati di cancro che si rivolgono alla medicina alternativa avrebbero meno probabilità di sopravvivere, poiché più propensi a rifiutare alcuni trattamenti convenzionali
Dice tutto il nome: complementare, a dimostrazione del fatto che questa branca della medicina può si determinare dei benefici per la salute, a patto che faccia il paio con quella convenzionale, sopratutto nella cura dei tumori. Cosa che invece, come documentato anche da recenti episodi di cronaca, avviene con crescente frequenza, ponendo così a repentaglio la vita dei pazienti. Chi «sposa» la linea della medicina complementare risulta infatti più esposto al rischio di abbandonare le terapie tradizionali (chirurgia, chemioterapia, radioterapia, terapia ormonale e immunoterapia). Come conseguenza si ha una ridotta probabilità di sopravvivenza a tutti i tumori. Questo è quanto documentato in uno studio pubblicato sulla rivista Jama Oncology.
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ANALISI SU 1300 PAZIENTI
I ricercatori si sono messi al lavoro con l'obiettivo di raccogliere in maniera retrospettiva dati in merito all'associazione tra l'utilizzo di rimedi complementari, l'aderenza (contemporanea) ai trattamenti convenzionali e la sopravvivenza complessiva alle malattie oncologiche. In questo modo sarebbe poi stato possibile effettuare un confronto - considerando la sopravvivenza come il parametro più interessante - tra chi aveva più di frequente fatto ricorso alla medicina non convenzionale e chi invece non aveva mai derogato ai protocolli terapeutici. L'analisi è stata condotta su un database che raccoglieva oltre 1290 pazienti in cura tra il 2004 e il 2013 in oltre 1500 strutture sanitarie statunitensi. Tutti erano affetti da quattro tumori, tra i più diffusi: quelli al seno, alla prostata, al polmone e al colon-retto. L'analisi - condotta confrontando i pazienti per età, stadio della malattia, eventuali altre malattie, anno e tipologia della diagnosi - ha evidenziato un aspetto messo per la prima volta nero su bianco: «Chi riceve una terapia complementare, è più propenso a rifiutare le cure tradizionali». E, di conseguenza, convive con una probabilità di sopravvivenza più bassa rispetto a chi, con la stessa diagnosi, s'affida alle cure standard. Lo stesso trend non è stato invece osservato tra chi, pur avendo fatto ricorso alla medicina complementare, non ha abbandonato i protocolli terapeutici validati su base scientifica.
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SOPRAVVIVENZA RIDOTTA SE SI ABBANDONANO LE CURE STANDARD
Oltre a certificare il rischio legato al ricorso in maniera esclusiva alla medicina complementare, lo studio ha evidenziato un altro aspetto interessante: la ridotta prospettiva di vita con cui convive anche chi ricorre a una combinazione di medicina non convenzionale e cure standard. Questo non perché i rimedi alternativi siano (sempre) dannosi per la salute, ma perché «i pazienti che vi ricorrono ritengono che il loro utilizzo possa migliorare la sopravvivenza», afferma James Yu, direttore del programma di radioterapia per i tumori genitourinari del Yale Cancer Center e coordinatore della ricerca. Non in tutti i casi, anche se sovente, come documentato dallo studio, questa errata credenza porta ad abbandonare le terapie standard, che dovrebbero in realtà essere il caposaldo su cui incardinare il supporto della medicina non convenzionale. «C'è una grande confusione riguardo al ruolo delle terapie complementari - aggiunge Skyler Johnson, oncologo radioterapista e prima firma della pubblicazione -. Possono essere utilizzate per gestire alcuni sintomi determinati dalle terapie oncologiche, ma non vanno intesi come un loro sostituto». Altrimenti il rischio è quello di vedere quanto osservato nello studio: ovvero una riduzione della sopravvivenza alla malattia.
PARLARNE SEMPRE CON L'ONCOLOGO
L'attenzione alle terapie non convenzionali - gruppo all'interno del quale ricadono la fitoterapia, l'omeopatia, l'agopuntura, la medicina tradizionale cinese, il Tai Chi, il Qi Gong, la chiropratica, la manipolazione osteopatica e il ricorso a diete non fornite da un nutrizionista clinico - è molto alta sopratutto negli Stati Uniti, dopo che alcuni studi hanno stimato che a seguirle siano tra il 48 e l'88 per cento dei malati oncologici. Parallelamente alla spinta da parte dell'industria, tra i pazienti è cresciuta la convinzione dei loro benefici. Alcuni studi hanno evidenziato che il ricorso all'agopuntura, allo yoga e alla meditazione possono migliorare la qualità della vita dei pazienti oncologici, ma queste discipline non devono mai escludere le terapie standard. Ecco perché, prima di iniziare attività di questo tipo, una chiacchierata con il proprio oncologo è comunque consigliabile.
Fonti
Fabio Di Todaro
Giornalista professionista, lavora come redattore per la Fondazione Umberto Veronesi dal 2013. Laureato all’Università Statale di Milano in scienze biologiche, con indirizzo biologia della nutrizione, è in possesso di un master in giornalismo a stampa, radiotelevisivo e multimediale (Università Cattolica). Messe alle spalle alcune esperienze radiotelevisive, attualmente collabora anche con diverse testate nazionali ed è membro dell'Unione Giornalisti Italiani Scientifici (Ugis).