L'immunoterapia si è dimostrata utile in questo tipo di tumore. Uno studio ha però identificato quali sono le caratteristiche che il microambiente tumorale deve avere affinché le cure siano efficaci
Nel tumore al seno triplo negativo l'immunoterapia è uno degli approcci di cura che si sta ritagliando sempre più spazio. Sia nelle fasi iniziali della malattia sia in quella metastatica, l'utilizzo dell'immunoterapia si è dimostrato utile nel migliorare significativamente il controllo del tumore e la sopravvivenza globale. Non tutte le donne però rispondono efficacemente a questo trattamento. Uno dei motivi sembrerebbe essere una differente interazione tra le cellule tumorali e quelle del sistema immunitario. Uno studio da poco pubblicato su Nature, ad opera di un gruppo internazionale guidato dal professor Giampaolo Bianchini dell'IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano, ha fatto luce proprio su queste interazioni identificando le pazienti che meglio risponderanno al trattamento.
IL TUMORE AL SENO TRIPLO NEGATIVO
Tra i tumori al seno quello più difficile da trattare è il triplo negativo. Particolarmente diffuso al di sotto dei 50 anni e in chi presenta mutazioni nel gene BRCA1, questa forma tumorale rappresenta circa il 15-20% di tutte le neoplasie della mammella. Ma mentre le altre forme possono essere curate con buoni risultati, il triplo negativo è particolarmente aggressivo e presenta una sopravvivenza media dalla diagnosi nettamente inferiore rispetto alle altre forme. Il nome triplo negativo deriva dal fatto che in questo specifico tipo di tumore al seno, a differenza di altri tumori mammari, le cellule non possiedono sulla loro superficie tre principali bersagli terapeutici: il recettore degli estrogeni, quello dei progestinici e l’iperespressione di HER2. L’assenza di questi target rende dunque questa neoplasia particolarmente difficile da trattare. Per questa ragione la chemioterapia che rimane lo standard di trattamento da decenni.
L'UTILITÀ DELL'IMMUNOTERAPIA
Negli ultimi anni però, complice l'avvento dell'immunoterapia, le sperimentazioni di questo approccio nel triplo negativo si sono moltiplicate. Un esempio è lo studio KEYNOTE-355 in cui è stato valutato l’utilizzo dell’immunoterapico pembrolizumab in aggiunta alla terapia standard rappresentata dalla chemioterapia con taxani o platino/gemcitabina. I risultati ottenuti nel corso del tempo hanno indotto l’FDA -già nel novembre del 2020- ad approvarne l’utilizzo in prima linea. La combinazione infatti si è dimostrata estremamente efficace, rispetto alla sola chemioterapia, nel prolungare la sopravvivenza globale alla malattia. Risultati incoraggianti si sono avuti anche con altri immunoterapici come atezolizumab. Purtroppo però non tutti i tumori al seno triplo negativo sono uguali. Questo significa che l'immunoterapia non funziona sempre in tutti i casi. Ecco perché la ricerca è al lavoro per cercare di identificare i meccanismi che causano la mancata risposta.
PREVEDERE LA RISPOSTA
Lo studio pubblicato dai ricercatori italiani del professor Bianchini ha contirbuito a fare luce proprio su questi meccanismi. L'analisi ha coinvolto donne con tumore al seno triplo negativo in fase precoce sottoposte a trattamento neoadiuvante (la cura che serve per ridurre le dimensioni tumorali prima dell'intervento chirurgico) nell'ambito del trial clinico NEOTrip. Il trial prevedeva il confronto tra un trattamento con chemioterapia rispetto a chemioterapia più l'immunoterapico atezolizumab. Lo studio dei ricercatori italiani, utilizzando una tecnica chiamata Imaging Mass Cytometry (IMC), ha analizzato l'espressione di 43 proteine tumorali prima del trattamento, il primo giorno del secondo ciclo di trattamento e dopo la chirurgia. Dall'analisi è emerso che nelle donne che rispondevano efficacemente al trattamento immunoterapico era forte la presenza di cellule con espressione di MHCI e MHC-II e linfociti CD8+ TCF1+. Non solo, le interazioni tra cellule tumorali e sistema immunitario sono risultate cruciali per la risposta all'immunoterapia. Il contatto fisico tra linfociti T e cellule tumorali si è dimostrato un indicatore significativo per prevedere la risposta alle terapie.
IDENTIFICARE LE PAZIENTI
Quanto ottenuto dai ricercatori segna un importante traguardo nella comprensione dei meccanismi alla base della risposta positiva alle terapie. Un risultato importante che conferma ancora una volta -altri studi simili hanno indagato le interazioni tra diverse tipologie di tumore e sistema immunitario- la necessità di analizzare accuratamente il microambiente tumorale in termini di cellule presenti e loro organizzazione spaziale per selezionare quelle pazienti che risponderanno meglio al trattamento.
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Daniele Banfi
Giornalista professionista del Magazine di Fondazione Umberto Veronesi dal 2011. Laureato in Biologia presso l'Università Bicocca di Milano - con specializzazione in Genetica conseguita presso l'Università Diderot di Parigi - ha un master in Comunicazione della Scienza ottenuto presso l'Università La Sapienza di Roma. In questi anni ha seguito i principali congressi mondiali di medicina (ASCO, ESMO, EASL, AASLD, CROI, ESC, ADA, EASD, EHA). Tra le tante tematiche approfondite ha raccontato l’avvento dell’immunoterapia quale nuova modalità per la cura del cancro, la nascita dei nuovi antivirali contro il virus dell’epatite C, la rivoluzione dei trattamenti per l’ictus tramite la chirurgia endovascolare e la nascita delle nuove terapie a lunga durata d’azione per HIV. Dal 2020 ha inoltre contribuito al racconto della pandemia Covid-19 approfondendo in particolare l'iter che ha portato allo sviluppo dei vaccini a mRNA. Collabora con diverse testate nazionali.