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Oncologia
Daniele Banfi
pubblicato il 25-10-2023

Tumore al seno: quanto conta l'inquinamento atmosferico?



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Il legame tra inquinamento atmosferico e aumentato rischio di tumore al seno esiste ma deve essere quantificato con maggiore precisione. No agli allarmismi ma ridurre l'esposizione agli inquinanti è un imperativo per la salute

Tumore al seno: quanto conta l'inquinamento atmosferico?

Può l'inquinamento atmosferico causare un tumore al seno? Diiversi studi epidemiologici indicano che l'aria che respiriamo, quando ricca di particolato atmosferico fine, può concorrere ad aumentare il rischio di molte malattie, cardiovascolari in primis. I tumori non sembrano fare eccezione: questo vale in particolar modo per il tumore del polmone ma, secondo alcune recenti analisi, anche per il tumore al seno. In due studi da poco pubblicati -il primo realizzato dal NIH statunitense, il secondo presentato al congresso dell'Europen Society for Medical Oncology- emerge che vivere in aree maggiormente inquinate può aumentare il rischio di cancro al seno rispetto a chi vive in aree dove la qualità dell'aria è migliore. Attenzione però a trarre facili conclusioni: gli studi, pur stabilendo una correlazione che indica la necessità di migliorare la qualità dell'aria, differiscono sul dato di aumento del rischio. 

INQUINAMENTO E TUMORI

Secondo uno dei più imponenti studi pubblicato sull'argomento da Pnas, realizzando incrociando le cause di decesso con i livelli di particolato atmosferico, l'inquinamento sarebbe causa di quasi 9 milioni di decessi l'anno. Alla base di questi decessi c'è, in particolare, l'esposizione al PM 2,5, quella forma di particolato atmosferico fine che riesce ad entrare nel circolo sanguigno e nelle cellule attraverso l'aria che respiriamo. L'esposizione cronica a questa forma di inquinamento è in grado di causare infiammazione cronica, una condizione capace di favorire lo sviluppo di diverse malattie tra cui ci sono anche i tumori. Il particolato atmosferico, non a caso, è inserito nella lista delle sostanze cancerogene.

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INQUINAMENTO E TUMORE DEL POLMONE

Il legame più chiaro tra inquinamento atmosferico e rischio cancro riguarda il tumore del polmone. Pur essendo il fumo di sigaretta il principale fattore di rischio (8 tumori al polmone su 10 sono attribuibili all'abitudine tabagica), l'esposizione al PM 2,5 aumenta il rischio di svilupparlo. In un recente studio realizzato su quasi mezzo milione di persone con tumore al polmone che non avevano mai fumato, è emerso che l'esposizione ad elevati livelli di PM 2.5 in presenza di mutazioni nel gene EGFR predisponeva gli individui a sviluppare un tumore del polmone. Partendo da questa considerazione i ricercatori Francis Crick Institute e della University College di Londra hanno cercato di decodificare il meccanismo con cui l'inquinamento atmosferico, nei non fumatori, può portare allo sviluppo della malattia. Con una pubblicazione avvenuta in aprile su Nature, gli scienziati hanno innanzitutto mostrato che le mutazioni nei geni EGFR e KRAS, normalmente presenti nelle cellule di tumore del polmone, possono esserci anche nelle cellule sane. Queste mutazioni, spesso conseguenza dell'età, da sole non sono in grado portare allo sviluppo della malattia. Quando però queste cellule sane -con mutazioni in EGFR e KRAS- vengono esposte al particolato atmosferico, in alcune si innesca un processo di trasformazione tumorale. Processo che invece non avviene nelle cellule senza mutazioni ma esposte comunque a PM 2.5. Una prova diretta che le mutazioni di EGFR e KRAS sono predisponenti lo sviluppo della malattia in particolari condizioni, ovvero in presenza del particolato atmosferico.

IL RUOLO DELL'INFIAMMAZIONE

Ma c'è di più: nello studio i ricercatori hanno decodificato il meccanismo con cui ciò avviene. L'esposizione al PM 2.5 ha come diretta conseguenza l'attivazione di alcuni particolari macrofagi (cellule del sistema immunitario) con proprietà infiammatorie. In particolare l'attivazione porta alla produzione di una molecola, l'interleuchina1-beta, capace di stimolare in maniera selettiva la crescita delle cellule EGFR mutate, quelle potenzialmente con maggiori probabilità di trasformarsi in tumore. Un risultato straordinario che spiega per la prima volta come mai il particolato atmosferico, pur non essendo in grado di modificare il DNA, riesca a promuovere la trasformazione tumorale.

TUMORE AL SENO: IL RISCHIO AUMENTA?

Un'altra neoplasia in cui l'inquinamento armosferico sembrerebbe giocare un ruolo nell'aumentare le probabilità di sviluppo è il tumore al seno. Le evidenze però sono meno robuste rispetto al tumore del polmone. In uno studio presentato al recente congresso ESMO di Madrid i ricercatori francesi dell'INSERM hanno mostrato che l'esposizione prolungata nel tempo al particolato -PM 2.5 in primis- può aumentare del 28% il rischio di tumore al seno rispetto a chi vive in aree con una concentrazione inferiore di inquinanti. I risultati ottenuti confrontando un campione di circa 5 mila donne divise in due gruppi osservate tra il 1990 e il 2011. Un altro studio, numericamente più rappresentativo, è stato realizzato dall'NIH statunitense. In questo caso sono state osservate oltre 500 mila donne per un periodo di 20 anni. Dall'analisi è emerso che essere esposte ad elevate quantità di particolato atmosferico aumenta il rischio di tumore al seno dell'8%. Un incremento modesto ma comunque significativo: in condizioni "normali" una donna possiede un rischio di sviluppare un tumore al seno nel corso della propria vita pari al 12% (12 donne su 100 lo sviluppano). Con un incremento del 28%, come nello studio francese, significherebbe avere una probabilità del 15%. Tre donne in più con tumore al seno ogni 100. Più contenuta la stima dello studio statunitense: 13%, una in più su 100 rispetto alla media.

L'IMPORTANZA DI RIDURRE GLI INQUINANTI

Nell'attesa di quantificare il reale impatto dell'inquinamento atmosferico sul rischio di sviluppare un tumore al seno, il messaggio sull'importanza di ridurre i livelli di particolato è più che mai attuale. Se in alcune parti del mondo come Europa e Stati Uniti le contromisure cominciano a farsi vedere -la qualità dell'aria dagli anni '70 ad oggi è in miglioramento-, in altre come Cina e India la situazione è tutt'altro che rosea con livelli di esposizione ampiamente superiori ai limiti previsti dal documento "Air Quality Guidelines" diffuso nel settembre 2021 dall'Organizzazione Mondiale della Sanità.

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Daniele Banfi
Daniele Banfi

Giornalista professionista del Magazine di Fondazione Umberto Veronesi dal 2011. Laureato in Biologia presso l'Università Bicocca di Milano - con specializzazione in Genetica conseguita presso l'Università Diderot di Parigi - ha un master in Comunicazione della Scienza ottenuto presso l'Università La Sapienza di Roma. In questi anni ha seguito i principali congressi mondiali di medicina (ASCO, ESMO, EASL, AASLD, CROI, ESC, ADA, EASD, EHA). Tra le tante tematiche approfondite ha raccontato l’avvento dell’immunoterapia quale nuova modalità per la cura del cancro, la nascita dei nuovi antivirali contro il virus dell’epatite C, la rivoluzione dei trattamenti per l’ictus tramite la chirurgia endovascolare e la nascita delle nuove terapie a lunga durata d’azione per HIV. Dal 2020 ha inoltre contribuito al racconto della pandemia Covid-19 approfondendo in particolare l'iter che ha portato allo sviluppo dei vaccini a mRNA. Collabora con diverse testate nazionali.


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