Non solo BRCA. PALP2 predispone all'insorgenza di un tumore al seno. I risultati di uno studio pubblicato sul New England Journal of Medicine
Non solo BRCA1 e BRCA2. La predisposizione allo sviluppo di un tumore al seno passa anche, seppur in maniera minore, per le mutazioni nel gene PALP2. E' questo, in estrema sintesi, il messaggio che emerge da uno studio pubblicato sulle pagine del New England Journal of Medicine. L'analisi, effettuata su oltre 64 mila donne, aveva come obbiettivo la valutazione di quali geni fossero implicati nell'ereditarietà del tumore al seno. Ai già conosciuti BRCA1 e BRCA2, che aumentano significativamente il rischio, si aggiungono PALP2 ed altri in forma minore. Un'informazione utile in più per pianificare una corretta prevenzione.
QUANDO IL DNA NON VIENE RIPARATO
Alla base dello sviluppo di un tumore al seno vi sono diversi fattori. Mentre alcuni sono modificabili attraverso lo stile di vita, altri sono presenti sin dalla nascita e non si possono modificare in alcun modo. E' questo il caso di alcune particolari mutazioni dei geni coninvolti nei meccanismi di riparazione del Dna. Quando sono presenti il risultato è la produzione di proteine che hanno una capacità di riparare i danni con un'efficienza nettamente inferiore rispetto a quelle prodotte in assenza di mutazione. Ecco perché, proprio per l'incapacità di riparare il Dna, le cellule accumulano più mutazioni che possono portare alla trasformazione tumorale. Essendo però il tumore una malattia a più fattori, la presenza di queste mutazioni non significa che la persona svilupperà sicuramente un tumore. Ad aumentare è solo la probabilità. Ad oggi si calcola che sul totale dei tumori al seno, circa il 10% deriva dalla presenza di queste mutazioni.
PALP2 AUMENTA IL RISCHIO
Ai gia conosciuti geni BRCA1 e BRCA2 -balzati alla cronaca grazie alla storia dell'attrice Angelina Jolie- lo studio da poco pubblicato ha confermato l'esistenza di altri geni mutati implicati nello sviluppo della malattia. Ai già noti si aggiungono PALB2, BARD1, RAD51C, RAD51D, ATM e CHEK2. L'analisi statunitense però, più che valutare quali geni erano coinvolti, mirava a stabilire il rischio per ogni singolo gene. Lo studio ha coinvolto 32 mila donne con tumore al seno e 32 mila senza storia di malattia. Dalle analisi è emerso che erano presenti mutazioni in tutti quei geni nel 5% delle donne che avevano avuto la malattia e solo l'1,6% in quelle dell'altro gruppo. Andando poi ad analizzare il primo gruppo è emerso che, come da previsione, le mutazioni nei geni BRCA1 e BRCA2 erano associate ad un rischio elevato di sviluppare la malattia. Nel caso di quelle in PALP2 il rischio è risultato moderato. Per gli altri geni invece il rischio è risultato aumentato solo per alcuni tipologie di tumore: BARD1, RAD51C, e RAD51D per quelli negativi ai recettori per gli estrogeni e nel triplo negativo; ATM, CDH1, e CHEK2 in quelli positivi ai recettori per gli estrogeni.
VALUTARE IL TIPO DI MUTAZIONE
Risultati importanti, quelli ottenuti nello studio, utili ad orientare la prevenzione ma su cui c'è ancora molto da lavorare. La situazione è infatti complessa. I "difetti" che riguardano ad esempio BRCA possono essere suddivisi in tre categorie: mutazioni ad alto rischio, mutazioni benigne e, infine, mutazioni dal significato incerto ("Vus" in gergo medico) e dunque difficilmente interpretabili. E' per questa ragione che la ricerca deve procedere. Non tutte le mutazioni sono uguali.
Daniele Banfi
Giornalista professionista del Magazine di Fondazione Umberto Veronesi dal 2011. Laureato in Biologia presso l'Università Bicocca di Milano - con specializzazione in Genetica conseguita presso l'Università Diderot di Parigi - ha un master in Comunicazione della Scienza ottenuto presso l'Università La Sapienza di Roma. In questi anni ha seguito i principali congressi mondiali di medicina (ASCO, ESMO, EASL, AASLD, CROI, ESC, ADA, EASD, EHA). Tra le tante tematiche approfondite ha raccontato l’avvento dell’immunoterapia quale nuova modalità per la cura del cancro, la nascita dei nuovi antivirali contro il virus dell’epatite C, la rivoluzione dei trattamenti per l’ictus tramite la chirurgia endovascolare e la nascita delle nuove terapie a lunga durata d’azione per HIV. Dal 2020 ha inoltre contribuito al racconto della pandemia Covid-19 approfondendo in particolare l'iter che ha portato allo sviluppo dei vaccini a mRNA. Collabora con diverse testate nazionali.