L’indicatore è poco attendibile nella stima delle probabilità di sviluppare un melanoma. Più rilevante l’atipicità nella loro forma
Nell’immaginario collettivo una diagnosi di melanoma, il meno diffuso tra i tumori cutanei (circa il cinque per cento) ma anche il più pericoloso vista la capacità di crescere e diffondersi nei tessuti circostanti in tempi brevi, è ritenuta più probabile nelle persone con un maggior numero di nei (e di più ampie dimensioni). L’associazione è presto spiegata. Si tratta di una neoplasia che ha origine dai melanociti, le cellule responsabili della colorazione della pelle. E i melanociti, in condizioni normali, possono dare luogo a dei nei sulla pelle. Ma è corretto porre in relazione il loro numero (e la loro forma) a una più alta probabilità di insorgenza del melanoma?
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MELANOMA, RARE LE DIAGNOSI NEI BAMBINI
Diversi studi, nel corso degli ultimi vent’anni (qui l’ultimo pubblicato nel 2005 sull’European Journal of Cancer hanno correlato il numero di nei totale e la loro atipicità a un più alto rischio di sviluppare la malattia. In realtà, però, la relazione è più complessa. Ciò che appare probabile, per esempio, è che anche l’età del paziente giochi un ruolo non trascurabile, se si considera che di rado il melanoma colpisce i bambini, dia vita alle sue forme più aggressive in età fertile e aumenti come casistica nel corso della terza età. Così, per provare a fare chiarezza, un gruppo di ricercatori della scuola di salute pubblica dell’Università di Harvard (Boston) ha arruolato 566 pazienti (57 anni l’età media) con un melanoma scoperto nei tre mesi precedenti. A tutti è stato chiesto di ricostruire gli eventi relativi all’anno precedente la diagnosi. Obiettivo: valutare l’eventuale associazione tra l’età del paziente, il numero e la forma dei suoi nei e lo spessore del tumore al momento della sua scoperta.
COME RICONOSCERE UN NEO SOSPETTO?
IMPOSSIBILE VALUTARE IL RISCHIO IN BASE AL NUMERO DEI NEI
I ricercatori - il cui lavoro è stato pubblicato sulla rivista Jama Dermatology - hanno suddiviso in pazienti in diverse categorie. In base al numero di nei: da zero a venti, tra venti e cinquanta, più di cinquanta. E a seconda della frequenza di anomalie (asimmetrie, presenza di bordi irregolari, cambiamenti nella colorazione, dimensioni superiori ai sei millimetri ed evoluzione progressiva) in essi riscontrate: zero, tra una e cinque o più di cinque. Il 67 per cento del totale ne aveva meno di venti, più del 73 per cento non aveva alcuna atipicità. Eppure le diagnosi di melanoma erano tutte là. Dunque: non è vero che maggiore è il numero di nei, più alto è il rischio di sviluppare la malattia. Nei pazienti con meno di sessant’anni, i ricercatori hanno notato che la presenza di più cinquanta nei su tutto il corpo era associata a un ridotto rischio di avere un melanoma di maggior spessore. Più rilevante del numero, stando ai dati ottenuti dalla ricerca, la presenza di atipicità dei nei riscontrata negli adulti. Indicazioni che fanno il paio con quelle tratte da uno studio pubblicato lo scorso anno sull’International Journal of Cancer: a un più alto numero di nei - nel caso specifico più di cinquanta, con spessori superiori ai due millimetri - corrisponderebbero maggiori alti tassi di sopravvivenza alla malattia.
Come viene diagnosticato il melanoma metastatico?
UN MESSAGGIO RIVOLTO ANCHE AI MEDICI DI BASE
Giuseppe Argenziano, docente di malattie cutanee e veneree alla Seconda Università di Napoli e tra gli autori della pubblicazione, è convinto che i due parametri da soli siano insufficienti a dare una stima esatta del rischio: «Numero e atipicità dei nei sono parametri da considerare quando si è di fronte a dei ragazzi, mentre la loro rilevanza tende a scemare con il passare degli anni. Avere pochi nei non permette di essere al sicuro rispetto al rischio di ammalarsi: le stime ci dicono che soltanto un neo su trentamila si trasforma in un melanoma». Occorre poi sempre considerare la tipologia del neo, che può essere congenito o acquisito.
Questi ultimi variano a seconda dell’esposizione al sole e di solito scompaiono nel tempo. Mentre spulciando nella letteratura scientifica s’evince che sono i primi a presentare più frequentemente mutazioni del gene BRAF, presenti tra il quaranta e il sessanta per cento delle nuove diagnosi. Il messaggio è rivolto anche ai medici di base, i primi chiamati a dare indicazioni ai pazienti. «L’approccio deve variare a seconda dell’età e del fototipo della persona che si ha di fronte. Un giovane con pochi nei, senza precedenti casi di malattia in famiglia né scottature può stare relativamente tranquillo. Tutte le persone con pelle chiara e più di cinquant’anni, invece, dovrebbero effettuare almeno un controllo specialistico e successivamente attenersi alle indicazioni del medico».
Fonti
Fabio Di Todaro
Giornalista professionista, lavora come redattore per la Fondazione Umberto Veronesi dal 2013. Laureato all’Università Statale di Milano in scienze biologiche, con indirizzo biologia della nutrizione, è in possesso di un master in giornalismo a stampa, radiotelevisivo e multimediale (Università Cattolica). Messe alle spalle alcune esperienze radiotelevisive, attualmente collabora anche con diverse testate nazionali ed è membro dell'Unione Giornalisti Italiani Scientifici (Ugis).