L'esame eseguito su un campione di tessuto tumorale stima la diffusione della reazione immunitaria nella neoplasia, consentendo di identificare anche la risposta a una immunoterapia
Un test identifica, in caso di melanoma o di tumori immunoresponsivi, il profilo immunitario del paziente permettendo di conoscere in anticipo la diffusione della reazione immunitaria della neoplasia e la risposta a un trattamento che potenzia le naturali difese dell’organismo. Ad attuare e sperimentare l’innovativa metodica, presentata di recente a Napoli, sono solo due centri al mondo: l’Istituto Pascale, nella città partenopea, e l’INSERM (National Institute of Health and Medical Research) di Parigi.
LA METODICA – Si chiama ‘immunoscore’, il test nato da una idea del Dottor Jerone Galon dell’INSERM di Parigi che lo ha studiato sul tumore del colon ed oggi applicato anche nella cura del melanoma. Effettuato su un campione di tessuto tumorale, l’esame consente di selezionare, grazie alla definizione del profilo immunitario, i pazienti che possono beneficiare di una immunoterapia e coloro che possono avere (o meno) bisogno di una terapia medica dopo la chirurgia. «In ogni tumore – spiega il professor Paolo Ascierto, Dirigente Medico dell’Unità di Oncologia Medica e Terapie innovative della struttura napoletana – sono presenti diverse cellule immunitarie ed alcune di queste, come i linfociti T, sono fondamentali per combattere il tumore. Attraverso questo test è possibile valutare con accuratezza diagnostica la presenza di alcuni specifici marcatori espressi sulla superficie delle cellule, nel caso del melanoma il CD3 e il CD8, che identificano i linfociti T citotossici, ossia quelli deputati a uccidere le cellule neoplastiche. La determinazione del livello di infiltrazione di queste cellule con l’immunoscore permette di conoscere lo stato di salute del nostro sistema immunitario». L’esame fornisce un punteggio da 0 a 4, in relazione alla presenza delle cellule immunitarie al centro e alla periferia del campione tumorale, e tanto più esso sarà alto, maggiori saranno le probabilità che la prognosi di un paziente sia buona e che la terapia immunitaria possa funzionare. «Questo tipo di analisi - continua Ascierto – non solo permette di conoscere in anticipo il quadro del decorso clinico della malattia ma potrebbe identificare quei pazienti a più alto rischio di ricadute, ovvero quelli con un sistema immunitario deficiente».