Avere un figlio dopo un tumore al seno è possibile ed è sicuro per mamma e neonato. Anche nei casi in cui c'è mutazione BRCA. I risultati all'ASCO
Dopo un tumore al seno la gravidanza non incide sul ritorno della malattia. Non solo, anche la salute del nascituro non dipende dalla malattia. Anche nei casi in cui siamo di fronte a mutazioni BRCA. Ad affermarlo è uno studio tutto italiano coordinato dall'Irccs Policlinico San Martino di Genova e presentato al congresso dell'American Society of Clinical Oncology (ASCO), il principale appuntamento mondiale dedicato alla lotta al cancro.
TUMORE AL SENO E GRAVIDANZA: IL DUBBIO DEGLI ONCOLOGI
Il dubbio era più che lecito: può una gravidanza successiva ad un tumore al seno incidere sullo sviluppo di una recidiva? Una domanda a cui gli oncologi non hanno mai saputo rispondere in maniera univoca. Circa il 30% dei medici infatti ritiene che la gravidanza possa influire negativamente. Percentuale che sale al 45% nei casi di tumore al seno BRCA positivo. Una convinzione che non poteva però essere confermata proprio per l'assenza di studi specifici sull'argomento. Negli ultimi anni però grazie soprattutto alle analisi dell'ospedale ligure - particolarmente attivo nella ricerca sul tumore al seno e fertilità - questa convinzione è andata lentamente diminunendo. Ma se per quanto riguarda il tumore al seno sensibile agli ormoni i dati a disposizione hanno lentamente fatto cambiare idea, per la categoria dei BRCA mutati nulla era possibile dire per assenza di dati.
LA GRAVIDANZA E' SICURA PER MAMMA E NEONATO
A fare chiarezza ci ha pensato lo studio coordinato da Matteo Lambertini e a cui ha partecipato Lucia Del Mastro, responsabile della breast unit dell’Irccs Policlinico San Martino di Genova e membro del comitato scientifico di Fondazione Umberto Veronesi. La ricerca, condotta a livello internazionale, ha coinvolto oltre 1200 donne sotto i 40 anni e tutte con mutazione ereditaria BRCA (811 BRCA1, 430 BRCA2, 11 BRCA1 e 2) con diagnosi di tumore al seno (stadio I-III) diagnosticato tra il 2000 e il 2012. Sul totale delle donne coinvolte il 16% ha avuto una gravidanza alla fine dei trattamenti. «Dalle analisi - spiega l'autore - dopo un follow up mediano di oltre 8 anni non abbiamo osservato differenze nella prognosi tra le donne che avevano avuto un figlio e le altre. Inoltre, altrettanto importante, non vi è stato alcun effetto negativo sui bambini ascrivibile alle cure. L'incidenza degli aborti, delle complicanze e dei problemi, infatti, è stata inferiore a quella della popolazione generale». Il messaggio è dunque chiaro: avere un figlio dopo la fine delle terapie non incide sulla prognosi e sul rischio di recidive per chi ha avuto un carcinoma di tipo ormonale, anche BRCA mutato.
Daniele Banfi
Giornalista professionista del Magazine di Fondazione Umberto Veronesi dal 2011. Laureato in Biologia presso l'Università Bicocca di Milano - con specializzazione in Genetica conseguita presso l'Università Diderot di Parigi - ha un master in Comunicazione della Scienza ottenuto presso l'Università La Sapienza di Roma. In questi anni ha seguito i principali congressi mondiali di medicina (ASCO, ESMO, EASL, AASLD, CROI, ESC, ADA, EASD, EHA). Tra le tante tematiche approfondite ha raccontato l’avvento dell’immunoterapia quale nuova modalità per la cura del cancro, la nascita dei nuovi antivirali contro il virus dell’epatite C, la rivoluzione dei trattamenti per l’ictus tramite la chirurgia endovascolare e la nascita delle nuove terapie a lunga durata d’azione per HIV. Dal 2020 ha inoltre contribuito al racconto della pandemia Covid-19 approfondendo in particolare l'iter che ha portato allo sviluppo dei vaccini a mRNA. Collabora con diverse testate nazionali.