Si è appena concluso l’annuale appuntamento dell’American Society of Clinical Oncology, il più importante appuntamento mondiale dedicato all’oncologia. Ecco di cosa si è parlato
Risponde Massimo Di Maio, consigliere nazionale dell’Associazione Italiana di Oncologia Medica e professore associato di Oncologia Medica presso il Dipartimento di Oncologia dell’Università degli Studi di Torino.
I tradizionali pilastri del trattamento del cancro sono tre: chirurgia, radioterapia e trattamenti farmacologici. Questi ultimi, per decenni, sono stati rappresentati dalla chemioterapia e, solo in alcune specifiche patologie, dai trattamenti ormonali. Oggi, i trattamenti farmacologici anti-tumorali si sono arricchiti di nuove importanti categorie: i farmaci a bersaglio molecolare e, ultimissimi arrivati, i farmaci cosiddetti «immuno-target», ovvero diretti a potenziare la risposta immunitaria contro i tumori. L’idea alla base di quest’ultimo approccio in sé non è nuova: fin dagli inizi del Novecento è stato ipotizzato che il sistema immunitario fosse in grado, da solo o stimolato e aiutato in varia maniera, di combattere il cancro, proprio come fa normalmente contro virus, batteri e patologie di diversa natura. Solo negli ultimi dieci anni, però, teorie e ricerche hanno avuto una svolta concreta che ha portato a realizzare dei farmaci già testati su migliaia di pazienti.
L’immunoterapia è al centro dell’attenzione di clinici e ricercatori e i risultati ottenuti con il suo utilizzo sono sempre più numerosi, come dimostrano molti studi presentati al congresso della Società Americana di Oncologia (Asco) appena conclusosi a Chicago.
Alcuni di questi farmaci sono ormai giunti alle ultime fasi di sperimentazione e appaiono promettenti contro diverse forme di tumore (polmone, prostata, rene, stomaco, testa e collo), ma uno solo, per ora, è già approvato e comunemente in uso contro il melanoma, il più letale tumore della pelle. Altri saranno probabilmente disponibili per la pratica clinica nel prossimo futuro.
I nuovi farmaci immunoterapici agiscono interferendo con alcuni «segnali» grazie ai quali le cellule tumorali «bloccano» la risposta da parte del nostro sistema immunitario: i medicinali, quindi, hanno l’effetto di «attivare» la risposta immunitaria anti-tumorale. La scommessa principale sarà quella di ottimizzare l’impiego di questa cura, identificando prima del trattamento i pazienti che ne trarranno beneficio e studiando il miglior modo di combinare queste terapie con quelle già esistenti.
Tra i risultati presentati all’Asco, poi, confermando la tendenza degli ultimi anni, sono sempre più numerosi i dati ottenuti in numerosi tumori solidi con l’impiego dei cosiddetti «farmaci a bersaglio molecolare», ovvero diretti contro specifici bersagli genetici alterati nelle cellule tumorali rispetto a quelle sane.
Il principio di base di queste cure è che ormai sappiamo che ciascun tumore, pur originando dallo stesso organo, presenta specifiche alterazioni del Dna, per cui la tendenza è quella di cercare la cosiddetta «terapia personalizzata», ovvero quella mirata contro le alterazioni specificamente riscontrate in ciascun caso. Molti degli studi discussi a Chicago vanno in questa direzione. La scommessa del prossimo futuro sarà quella di riuscire a garantire a ciascun paziente il trattamento migliore (molte delle alterazioni molecolari sono abbastanza rare e questo comporta una sfida sia a livello dello sviluppo dei farmaci sia a livello del loro impiego nella pratica clinica), e non bisogna mai dimenticare l’importante e spinoso tema della sostenibilità dei costi.
Tra gli studi che hanno valutato l’efficacia di nuovi farmaci «immuno-target», in grado di stimolare il sistema immunitario contro il tumore, grande rilievo ha avuto il trial CheckMate -057 i cui esiti sono stati giudicati molto promettenti, specie in termini di aumento di sopravvivenza, per i pazienti con tumore del polmone in fase avanzata curati con la nuova molecola nivolumab rispetto a quanto ottenuto con la tradizionale chemioterapia.
Inoltre lo studio ELOQUENT-2 ha valutato l’aggiunta dell’anticorpo elotuzumab alla lenalidomide nel trattamento del mieloma multiplo in pazienti che abbiano già fallito precedenti trattamenti. La sperimentazione dimostra che la malattia viene controllata più a lungo grazie all’aggiunta di elotuzumab: nel complesso, il beneficio è limitato nel tempo, ma va sottolineato che una minoranza di pazienti continua a beneficiare dell’effetto anche dopo oltre due anni dall’inizio della cura. Un ulteriore progresso, insomma, per una malattia che, rispetto a qualche decennio fa, ha visto un netto miglioramento della sopravvivenza grazie ai progressi del trattamento.
Va però ricordato detto che non tutte le novità rilevanti viste a Chicago sono legate alla sperimentazione di farmaci «di ultima generazione»: lo studio STAMPEDE, condotto nei pazienti con tumore della prostata localmente avanzato o metastatico, ha prodotto risultati positivi nel prolungamento della sopravvivenza mediante l’aggiunta precoce di un «vecchio» farmaco chemioterapico (docetaxel) alla terapia ormonale, che rappresenta il trattamento standard iniziale di questi malati.
Importanti novità ci sono state anche nel tema (sempre rilevante in ambito oncologico) della prevenzione: vengono presentati a Chicago i dati di uno studio che ha valutato l’efficacia di una vitamina (la nicotinammide) nella prevenzione dei tumori della pelle diversi dal melanoma (ovvero basaliomi e carcinomi squamocellulari), il cui rischio è aumentato in seguito all’eccessiva esposizione ai raggi solari. La nicotinammide è in grado di «proteggere» la pelle: può aumentare le difese immunitarie della cute e migliorare la capacità di riparare i pericolosi danni al Dna indotti dalle radiazioni solari. Lo studio assegnava soggetti a rischio (che avevano già avuto almeno due tumori della pelle nei precedenti 5 anni) a ricevere 12 mesi di nicotinammide oppure placebo, per vedere se la somministrazione della vitamina è efficace nel ridurre la comparsa di nuovi tumori della pelle. Lo studio si è concluso con un risultato positivo, evidenziando una riduzione del 23 per cento nel numero di tumori nel gruppo di pazienti che ricevevano la nicotinammide, senza rilevanti effetti collaterali. E’ probabile che i risultati di questo studio possano essere trasferiti in tempi brevi nella pratica clinica, ma bisogna sottolineare che i progressi nella prevenzione farmacologica non devono far dimenticare che il primo, più importante meccanismo di prevenzione per i tumori della pelle consiste nell’evitare l’eccessiva esposizione ai raggi solari e le scottature.
Vera Martinella
Laureata in Storia, dopo un master in comunicazione, inizia a lavorare come giornalista, online ancor prima che su carta. Dal 2003 cura Sportello Cancro, sezione dedicata all'oncologia sul sito del Corriere della Sera, nata quello stesso anno in collaborazione con Fondazione Umberto Veronesi.