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Neuroscienze
Serena Zoli
pubblicato il 17-05-2024

Ricovero per depressione, più attenzione dopo le dimissioni



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Nei giorni immediatamente successivi alla dimissione aumenta il rischio suicidio. Il ritorno a casa va concordato prima. Italia modello virtuoso

Ricovero per depressione, più attenzione dopo le dimissioni

Quando una persona che è stata ricoverata per depressione viene dimessa dall’ospedale, nei primi tre giorni è a maggior rischio di suicidio. Ad affermarlo è uno studio relaizzato da Kari Aaltonen dell’Università di Helsinki (Finlandia) pubbliocato su Jama Psychiatry. Sul momento così delicato dell’uscita dal reparto di psichiatria, il docente e i suoi colleghi nello studio osservano che i pazienti coinvolti rappresentano l’obiettivo prioritario di interventi specifici di prevenzione.

LA DIPENDENZA DALL’ALCOL UN’AGGRAVANTE NEL TEMPO

Per la loro indagine si sono avvalsi dei registri statistici finlandesi sulla salute che racchiudono informazioni sui ricoveri, le dimissioni, le diagnosi e le cause della morte. Hanno preso in considerazione tutte le ospedalizzazioni degli adulti sopra i 18 anni comprese tra 1996 e 2017. Ognuno di questi pazienti è stato seguito per due anni dopo le dimissioni. In totale i ricoveri sono stati 193.197 per 91.161 persone di cui il 56 per cento donne e di 44 anni come età media. Nel periodo studiato sono morti per suicidio 1.219 uomini e 757 donne. Nello specifico hanno osservato:

  • Nei primi tre giorni dalle dimissioni dall’ospedale l’incidenza di suicidi è stata di 6.062 per 100mila persone. Un tasso di 330 volte superiore ai livelli nella popolazione generale in Finlandia.
  • Il rischio di suicidio è più elevato nel corso di tutta la prima settimana: 3.884 per 100mila persone dal quarto al settimo giorno, per poi precipitare giù fino a 478 per 100mila persone dopo un anno.
  • Quanti erano stati ricoverati per un tentativo di suicidio cruento (con un’arma da fuoco o l’impiccagione) detenevano il più alto rischio nei primi tre giorni dalle dimissioni.
  • Altri fattori associati con un rischio immediato di suicidio includevano una depressione grave o psicotica, precedenti tentativi di suicidio, sesso maschile, età dai 40 anni in su.
  • Le persone ricoverate con comorbidità per alcol-dipendenza presentavano nell’immediato un più basso rischio di suicidio rispetto a quelle senza problemi di alcol, poi un più alto rischio nel tempo.

OCCORRE CONTINUITÀ NELLE CURE

«Il periodo successivo all’uscita dall’ospedale richiede una grande attenzione – concludono i ricercatori finlandesi. – La continuità delle cure e l’accesso a speciali ambulatori esterni nei giorni delle dimissioni sono condizioni assolutamente da osservare». Ne parliamo col dottor Giovanni Migliarese, primario di psichiatria all’Ospedale di Vigevano (Pavia), il quale premette i “benefici” dell’immissione in ospedale: «Con il ricovero è come se la vita della persona fosse messa in pausa. Si riducono i fattori di stress esterno e il paziente si sente in qualche modo protetto dal mondo fuori. Dove può avere conflitti familiari, preoccupazioni economiche o tensioni relazionali che possono essere concausa della depressione. Questi fatti restano fuori, e lui può rilassarsi mentre si sente accudito».

IL RITORNO ALLA VITA ESTERNA NON SIA UNO “SCALINO”

Continua Migliarese: «I reparti di psichiatria hanno particolari protocolli per ridurre al minimo il rischio suicidale. Poi, certo, il momento di tornare a casa è una fase molto delicata. Se il paziente ha i problemi sopra accennati, la sua uscita va preparata con gradualità. Durante il ricovero l’intervento viene effettuato dall’équipe ospedaliera in continuità con l’equipe territoriale che si prenderà cura del paziente alla dimissione. Sono pertanto coinvolte diverse figure e possono essere valutate le misure migliori per l’assistenza al domicilio. Possono essere effettuati colloqui con educatori o assistenti sociali ad esempio. Si possono coinvolgere i familiari se i problemi sono di famiglia, o altre figure, anche per ridurre il rischio che alla dimissione la situazione possa essere eccessivamente stressante. Bisogna fare in modo che lo “scalino” rappresentato dal ritorno nella realtà esterna risulti il più basso possibile».

ABBIAMO UNA RETE TERRITORIALE FORTE

Per la maggior parte dei dimessi da un reparto di psichiatria dov’erano entrati per curare una depressione seria non c’è bisogno di eccessive precauzioni nel rientro al domicilio se la cura ha fatto riacquistare un certo equilibrio e dissolto paure che, con le terapie, sono state percepite dal malato come inconsistenti. Per gli altri ci sono molte opzioni per diluire lo stacco tra ricovero e ritorno a casa. Spiega il dottor Giovanni Migliarese: «In Italia la psichiatria ha una rete territoriale molto forte, è una psichiatria territoriale di continuità e di comunità. E’ un merito dell’eredità di Franco Basaglia. All’estero è molto più ospedaliera».

DAL DAY-HOSPITAL AL CENTRO DIURNO

Dopo le dimissioni esistono dei ricoveri post-acuzie, adatti cioè dopo la fase acuta della depressione, piccoli ospedali in cui si può prolungare il ricovero anche di 30 giorni; c’è il day-hospital terapeutico che può accogliere fin dal primo giorno dopo la dimissione fornendo interventi terapeutici diurni in ambito ospedaliero; strutture residenziali, comunità con terapie riabilitative dove si può essere accolti in post-acuzie fino a tre mesi a rinforzare i benefici del ricovero; strutture semi-residenziali che sono i Centri diurni territoriali dove la persona va per fare varie attività, anche di riabilitazione, fino a 4 o più ore al giorno, a volte fino a pomeriggio inoltrato. Tutte queste strutture sono state create, in stretta connessione con i reparti ospedalieri di psichiatria, perché il salto dal ricovero alla vita esterna diventi uno scivolo senza o con ridotto rischio.

UN BUON SISTEMA MA SOTTOFINANZIATO

Conclude Giovanni Migliarese: «Il nostro sistema è molto buono, vengono a studiarci dall’estero. Ed è un sistema efficiente, purtroppo però sottofinanziato. Noi spendiamo per la psichiatria solo il 3 per cento del Fondo sanitario nazionale. Gli altri paesi dall’8 al 12 per cento, tra l’altro di fondi nazionali più alti del nostro. Di fronte al poderoso incremento dei bisogni sarebbe necessario un maggior finanziamento del sistema raggiungendo almeno il 5% del fondo sanitario nazionale, così come era stato concordato già nel 2000 nella conferenza Stato-Regioni».

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Serena Zoli
Serena Zoli

Giornalista professionista, per 30 anni al Corriere della Sera, autrice del libro “E liberaci dal male oscuro - Che cos’è la depressione e come se ne esce”.


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