Simile all’Alzheimer, ma dovuta a cause diverse: la Late colpisce una persona su 4 oltre gli 85 anni. Distinguere le forme di demenza porterà a terapie migliori
L’hanno chiamata Late, che in inglese vorrebbe dire ‘tardi’ con una suggestione chissà se voluta all’età tardissima delle persone per lo più colpite dalla malattia. In realtà il nome è composto dalle iniziali di termini neurologici: Limbic predominant Age-related Tdp-43 Encefalopathy. Di che si tratta? Di un nuovo tipo di demenza. Finora era sfuggita all’identificazione in quanto i suoi sintomi sono molto simili, spesso sovrapponibili, a quelli dell’Alzheimer. E questo, osservano adesso i ricercatori pubblicando il loro studio sulla rivista Brain, può spiegare una parte degli insuccessi negli interventi medici per l’Alzheimer: un certo numero di pazienti non aveva, in realtà, la memoria e via via altre abilità sconvolte dalle famigerate placche beta-amiloidi tipiche dell’Alzheimer. In loro, la smemoratezza e la crescente disabilità per le azioni di ogni giorno sarebbero dovute ai depositi di una proteina chiamata Tdp-43 nel cervello.
NELLE AUTOPSIE LA TRACCIA PER AIUTARE I VIVI
Non sarà inutile ricordare che questi “confronti” sulle diverse modificazioni cerebrali sono stati rilevati nelle autopsie. Così importanti che i ricercatori, alla fine, danno istruzioni ai colleghi che vorranno seguirli su questo terreno su come condurre le indagini post mortem al fine di arrivare a individuare un “segnale” riscontrabile nel malato ancora vivo. Lo scopo è arrivare a fare diagnosi corrette a beneficio dei vivi, che si discostino dal “calderone” unico dell’Alzheimer e siano presupposto di interventi medici mirati e di innovazioni nelle terapie. Tra gli autori dello studio sulla Late, Peter Nelson, Dennis W. Dickson, Julie Schneider, appartenenti a diversi centri di ricerca dall’Università del Kentucky alla Rush University Medical Center di Chicago alla Mayo Clinic, gira questa osservazione: «Più di 200 virus possono provocare un banale raffreddore. Perché allora dovremmo insistere che ci sia un’unica causa della demenza?».
LATE PROCEDE LENTAMENTE
Quando si parla di molto “late” per questa patologia si intende oltre gli 80 anni. Anzi gli 85: uno su quattro a quell’età e oltre ha il cervello insidiato dalla proteina Tdp-43. Rispetto all’Alzheimer, questa malattia progredisce più lentamente. Nel caso invece della presenza di ambedue le demenze, si potenziano a vicenda nella velocità del declino cerebrale. Il professor Elio Scarpini, direttore del Centro Alzheimer e Sclerosi multipla del Policlinico di Milano, spiega che dal punto di vista neurochimico il normale funzionamento della Tdp-43 è collegato al modo in cui le cellule utilizzano il Dna per formare le proteine. Nella Late, la normale struttura della Tdp-43 verrebbe a modificarsi, alterandone di conseguenza il funzionamento. Anomalie di questa proteina sono già note in patologie come la Sla.
RIDEFINIRE I CONFINI DELLE DEMENZE
Continua lo specialista: «Dopo anni di ricerche cliniche condotte nel campo della demenza di Alzheimer, è ormai evidente la necessità di migliorare i criteri d’inclusione, tenendo conto delle differenze non solo cliniche, ma anche eziopatologiche», delle cause cioè, per non rischiare di intervenire, come probabilmente già accaduto in passato, su meccanismi biochimici diversi da quelli che causano la demenze nel campione sperimentale. «Ne consegue pertanto– continua il professor Elio Scarpini - l’importanza di ridefinire il profilo del soggetto affetto da degenerazione della proteina Tdp-43 dal punto di vista biologico e clinico, incrementando la ricerca in quest’area. Il fallimento dei trial clinici sull’Alzheimer potrebbe essere spiegato retroattivamente attraverso l’esame autoptico, al fine di migliorare la comprensione dell’eziopatogenesi delle varie forme neurodegenerative diverse dalla malattia di Alzheimer».
Serena Zoli
Giornalista professionista, per 30 anni al Corriere della Sera, autrice del libro “E liberaci dal male oscuro - Che cos’è la depressione e come se ne esce”.