Violenza e gesti delinquenziali non sono tipici solo di chi soffre di patologie psichiatriche. Il racconto della realtà è molto più complesso. Le parole di Giovanni Migliarese
Un giorno in America un ragazzetto si alza, imbraccia il suo fucile da combattimento che ha potuto comprare semplicemente andando al negozio all’angolo dove vendono armi, va nella sua scuola o in un’altra, ultimamente anche in un asilo, e spara su tutti. Furiosamente e spietatamente. Decine di morti. Nella metà dei casi (45,6 per cento) poi si uccide. Ogni volta urla, sgomento e accuse: perché non l’hanno fermato prima? E’ un pazzo, sono pazzi i giovani (tutti maschi) che fanno queste stragi, del resto senza alcuna motivazione se non una “tara psichiatrica” colpevolmente non curata prima. Ora, alla Columbia University di New York dove esiste un "registro" di tutti gli assassini di massa (Cmmb, 14.785 tra 1900 e 2019), hanno fatto una ricerca su 82 di questi studenti stragisti e la conclusione cui sono arrivati è che psicosi o altre patologie psichiatriche gravi risultano assenti nella maggior parte dei soggetti. No, non pazzi.
Cos’altro allora? Di sicuro i ricercatori sanno dire soltanto che gli omicidi di massa nelle scuole sono diversi da tutti gli altri stragisti solitari. Diversi in che cosa? Forse (forse) tra le loro spinte alla distruzione di coetanei contano più motivazioni culturali e sociali, come romanticizzare le armi e la violenza con le armi, più che una predisposizione personale deviata. Risultati molto carenti, dunque, su un fenomeno che non accenna a fermarsi, che sono stati pubblicati sul Journal of Forensic Sciences.
STRAGI E MALATTIE PSICHIATRICHE: QUALE LEGAME?
Il dottor Giovanni Migliarese, Direttore Unità operativa complessa di Psichiatria 59 – Lomellina, lavora nel Dipartimento di Salute Mentale e Dipendenze dell’ASST Pavia, dopo anni di specializzazione e cura degli adolescenti a Milano. E si ribella al binomio violenza-psichiatria da intendersi – come avviene – alla cura mentale quale “tampone” contro la violenza. «In casi come gli omicidi di massa nelle scuole scatta un vero e proprio j’accuse contro la psichiatria. Ma lo stesso avviene anche per episodi recenti strillati dalla cronaca come quello dell’uomo di Assago che nel supermercato afferra un coltello e urlando uccide e ferisce (dirà poi: «Non sopportavo che fossero tutti sorridenti e felici»).
«Quando avvengono episodi del genere già nella prima notizia gli autori vengono definiti malati mentali, minimo “squilibrati” – ricorda Giovanni Migliarese -, e di nuovo: perché la psichiatria non fa niente? Non ferma questi pazzi che sconvolgono la società?». Forse c’è un frainteindimento proprio su quello che è – oggi – la psichiatria. Migliarese, primario di Psichiatria all’ospedale di Vigevano (PV), richiama Basaglia e la legge che porta il suo nome (1978): “Ormai da più di 40 anni dovrebbe essere chiaro il mandato prettamente sanitario della nostra specialità, che con la chiusura dei manicomi si è definitivamente allontanata da un ruolo di controllo sociale e di tutela della sicurezza”.
LA VIOLENZA HA MOLTE CAUSE
Ribadisce: tra psicopatologia e violenza non c’è un rapporto diretto, univoco. «La violenza ha una molteplicità di cause, è un tema antropologico, etico, sociologico, storico, filosofico, educativo naturalmente, e altro. E’ sicuramente riduttivo limitarne l’analisi all’assenza/presenza di una patologia psichica. La violenza e la psicopatologia corrono su binari paralleli: si influenzano ma non sono determinanti l’uno per l’altra». E lo psichiatra accusa a sua volta: «Dare così tanta fiducia alla psichiatria da ritenerla colpevole di lassismo o assenza di fronte al problema della violenza è tranquillizzante. Questa è la verità».
Di contro, un’altra verità che viene dal sapere e dall’esperienza psichiatrica: contro l’opinione diffusa, la letteratura medica evidenzia che le patologie psichiche gravi sfociano in violenza e in gesti delinquenziali con tassi analoghi a quelli di chi non ne è affetto. Sono persone sofferenti, non obbligatoriamente violente «E allora?». Lo chiediamo noi al dottor Giovanni Migliarese: e allora? «Allora la psichiatria può dare una chiave di lettura ad alcuni fenomeni e offrire cure, tra difficoltà e limiti perché non sempre il soggetto riconosce i propri disturbi e vi partecipa attivamente. Ma deve essere coadiuvata da altri saperi e altri agenzie. Vorrei infine dire che comunque, anche in presenza di una patologia psichica, resta sempre – e questo almeno è il mio personale parere – una parte di responsabilità soggettiva. Anche se sono schizofrenico e sento “voci” che mi ordinano di uccidere, io posso oppormi e non farlo.
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Serena Zoli
Giornalista professionista, per 30 anni al Corriere della Sera, autrice del libro “E liberaci dal male oscuro - Che cos’è la depressione e come se ne esce”.