Vivere da soli, se non è una condizione voluta, costituisce un rischio per la salute. Influisce sulle difese dell'organismo e fa aumentare le probabilità di ammalarsi
La solitudine non è solo un sentimento. Anzi, lo è, ma con una possibile ricaduta fisica: in particolare negli anziani, costituisce un serio rischio per la salute. Più facilità ad ammalarsi, possibilità di morte prematura aumentata del 14 per cento. Il fatto è già noto, ma si studiano i meccanismi attraverso i quali avviene questo passaggio da una condizione sociale a una risposta biologica.
«ATTACCA O FUGGI»
Uno studio dell’Università di Chicago, condotto oltre che sugli uomini su alcuni macachi reso, primati dall’intensa vita sociale, mostra che la solitudine stimola il segnale di stress del tipo “attacca o fuggi”, un segnale di allarme dunque, che ha riflessi sulla produzione dei globuli bianchi del sangue. Da questo, deriva una risposta immunitaria meno efficace a fronte di un aumentato livello di infiammazione di chi non è solo. Si indebolisce - si evince dalla ricerca pubblicata su Proceedings of the National Academy of Sciences - in particolare la protezione contro batteri e virus. E’ stata fatta anche una comparazione dei sintomi che ha permesso di escludere depressione e stress quali causa dei malesseri, attribuibili perciò soltanto alla solitudine.
DEFICIT DI AFFETTIVITA’
«Si sa da tempo che la solitudine fa ammalare e anche morire di più», commenta il professor Massimo Biondi, ordinario di psichiatria e direttore del Dipartimento di Scienze psichiatriche e Medicina psicologica all’Università Sapienza di Roma. «Era stata costruita anche una Loneliness Scale, una scala con diversi valori e conseguenze della solitudine. Noi medici vediamo anche nell’esperienza di ambulatorio una maggiore vulnerabilità delle persone sole. Ma attenzione: non si parla qui di quanti la solitudine se la sono cercata, la desiderano.
Non della suora di clausura, convinta della propria scelta. Non di chi vuole l’abitazione tutta per sé». I casi in cui lo star soli diventa un pericolo per la salute è quando si tratta di una condizione subita, per niente desiderata. «Il vedovo o la vedova che perde il coniuge col quale viveva un intenso coinvolgimento, le persone in età che perdono via via amici e conoscenti e sentono crescere il vuoto intorno. Insomma per parlare di solitudine come rischio per la salute ci dev’essere il mediatore dell’affettività», spiega il professor Biondi.
CI SONO DUE SOLITUDINI
Che continua: «A mano a mano che la ricerca procede si sono affinate le capacità di spiegare come certe emozioni si riflettano nella salute (non solo psichica), si conoscono nuovi meccanismi di influenza sui geni. Così oggi a proposito della solitudine si è constatato, come in questa ricerca di Chicago, una aumentata espressione dei geni coinvolti nell’infiammazione e una ridotta espressione nei geni coinvolti nella risposta antivirale e antibatterica. Quel che manca in questo studio è l’analisi del vissuto. Perché come abbiamo visto ci sono due solitudini ben diverse.
Chi la vuole, non si ammala di più, come invece accade a chi la subisce». Si può parlare di un rimedio, una terapia? Con che cosa si può attenuare la “malattia solitudine”? «Mah, non con la psicoterapia. Queste persone hanno bisogno di una rete sociale, devono recuperare rapporti umani iscrivendosi a club, associazioni. Per esempio, anche i centri anziani possono dare un sostegno. Certo, ci vorrebbe il paesino di una volta dove tutti si conoscevano e si parlavano, non i condomini di oggi dove non si conosce neanche il vicino di pianerottolo».
Serena Zoli
Giornalista professionista, per 30 anni al Corriere della Sera, autrice del libro “E liberaci dal male oscuro - Che cos’è la depressione e come se ne esce”.